Il Messaggero, 6 novembre 2016
Se vince Hillary - Se vince Trump
Se vince HillaryDi Hillary Clinton conosciamo non solo le posizioni assunte nella campagna elettorale ma anche il background della lunga storia sulla scena politica americana. Appartiene a quella tradizione che guarda alla politica estera con lo spirito dell’universalismo democratico e dell’espansione dei diritti civili senza necessariamente l’uso della forza, e punta al rafforzamento della globalizzazione economica e finanziaria. Per questo l’eredità democratica, nonostante i fallimenti, tiene in conto le organizzazioni internazionali, e in particolare fa perno sulle alleanze politiche e militari che gli Stati Uniti hanno sviluppato nei diversi scacchieri mondiali a cominciare dalla Nato che tuttora è considerata dalla Clinton un organismo vitale per gli interessi americani in Europa.
ALLEATI TRADIZIONALI
L’atteggiamento verso l’Europa sarà dunque di sostegno degli alleati tradizionali, in particolare dell’Italia che si è distinta per lealtà, molto più di quanto abbiano fatto la Germania e la Francia che è un caso a parte. Certo, gli americani, indipendentemente da chi vincerà le presidenziali, sono sempre meno disposti a sostenere il carico finanziario della difesa e della sicurezza dell’Europa come hanno fatto per decenni, per cui non mancheranno le pressioni sul Vecchio continente perché si faccia carico di maggiori impegni militari.
RISCHI PER L’ITALIA
Questa linea potrebbe svantaggiare l’Italia che, dopo la Brexit, è la nazione più vicina agli Stati Uniti anche per ragioni storiche. Se vincerà la Clinton, i punti nodali su cui insisteranno gli Stati Uniti sono la necessità di intensificare l’azione antiterroristica e l’opportunità di raggiungere un equilibrio nel Mediterraneo più stabile dell’attuale. La Casa Bianca, oggi e probabilmente anche domani, considera la massiccia corrente migratoria proveniente dall’Africa e dal Medio Oriente, alimentata dalla crisi climatica e dai conflitti islamici, uno dei massimi fattori di destabilizzazione globale e di alimentazione del terrorismo. La presidente richiamerà più e più l’attenzione degli europei su questo problema ritenuto internazionalmente centrale.
È inoltre probabile che sotto la Clinton la Russia diverrà il nodo più intricato e di maggiore conflittualità per gli europei. Mentre Obama ha tentato un appeasement, non riuscito nonostante l’accordo con l’Iran, Hillary ha mantenuto una partita aperta con Putin considerato un vecchio agente del Kgb. «Dobbiamo resistere molto fermi», ha dichiarato la candidata democratica di fronte al leader russo, il che significa che vi sarà un atteggiamento muscolare in Ucraina e nell’area baltica con l’ovvio aumento delle tensione sui confini orientali dell’Unione europea. Pertanto la Clinton chiederà all’Italia e agli altri Paesi europei nuove sanzioni per deprimere l’interscambio commerciale specialmente sul petrolio.
La nuova amministrazione democratica proseguirà la linea di Obama nel chiedere maggiori presenze europee nelle aree di crisi, in particolare all’Italia sulla Libia dove sono corposi i nostri interessi. È invece improbabile che vi siano altre spedizioni sul terreno in Libia, in Siria e Iraq per contrastare direttamente il terrorismo, così che gli europei saranno sollecitati a forme di collaborazione militare di altro tipo, come avviene già con l’Italia. La linea No Boots on the Ground sembra tracciata con determinazione anche perché la maggioranza degli americani non è più disponibile a fare quel che il governo ha fatto all’estero con grave dispendio di energie.
TTIP E GLOBALIZZAZIONE
La Clinton, come nella sua tradizione, resta legata al rafforzamento della globalizzazione, a cominciare dall’area europea che tuttora assorbe buona parte degli interscambi internazionali. Sarà difficile che il Trattato di libero scambio transatlantico (TTIP) possa essere rimesso in carreggiata, data la resistenza dei maggiori Paesi europei, anche se con esso le opportunità di sviluppo per l’Europa crescerebbero, insieme a una serie di controtendenze soprattutto nel settore alimentare. Clinton, vicina alle grandi corporations che fanno degli Stati Uniti il leader mondiale del soft power, cercherà di negoziare vantaggi fiscali e l’Europa dovrà decidere come bilanciare costi e benefici.
CONTINUISMO
In conclusione, lo scenario che si può schizzare nell’eventualità di una vittoria della Clinton fa perno sulla continuità della politica americana verso l’Europa, iniziata nel dopoguerra con il piano Marshall e proseguita con l’Alleanza atlantica e la Nato, tutti pilastri che pur nel mutato contesto internazionale hanno costituito il motivo dominante nella politica transatlantica di quasi tutte le amministrazioni, democratiche e repubblicane. All’America tendenza Clinton sta oggi a cuore soprattutto la stabilità dei regimi politici democratici del Vecchio Continente di fronte all’assalto dei populismi e dei nazionalismi che potrebbero congiungersi con gli autoritari alla Putin e gli integralisti islamisti alla Erdogan. Questo è il punto focale di un’eventuale presidenza democratica che dovrebbe non discostarsi molto dalla politica di Obama. Massimo Teodori
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Se vince Trump
La vittoria di Donald Trump porterebbe benefici importanti all’Europa. Ma anche malefici. Consideriamo entrambi.
I benefici riguardano l’allentamento delle tensioni con la Russia, con conseguenze benefiche in Siria e nell’Ucraina orientale, dove nascono i principali problemi per la sicurezza dei paesi europei.
LA GUERRA CON ASSAD
Iniziamo dalla Siria, dove la guerra civile è alimentata da due schieramenti, guidati da Stati Uniti e Russia. Da una parte, ci sono gli americani, che armano i ribelli, nella speranza di sostituire Bassar al Assad con un uomo affidabile; dall’altra parte, ci sono i russi, che bombardano i ribelli filo-americani per mantenere al potere l’attuale dittatore siriano. Il problema è che la Siria riveste un’importanza strategica enorme per la Russia. Per citare un solo esempio, l’unica base navale che consente il rifornimento delle navi russe nel Mediterraneo si trova sulla costa siriana. È la base di Tartus, costruita nel 1971. È in Siria, ma è dei russi. Siccome la Russia e gli Stati Uniti sono due super potenze, la guerra civile in Siria non avrà fine, fino a quando il presidente americano non si metterà d’accordo con il presidente russo. Veniamo all’Ucraina.
L’ALLARGAMENTO A EST
Da anni, gli Stati Uniti perseguono una politica di allargamento della Nato, che prevede l’assorbimento di paesi tradizionalmente filo-russi, come l’Ucraina. Ad aggravare la situazione c’è il fatto che l’Ucraina confina con la Russia. Il che significa che Putin, nel caso di una sconfitta, perderebbe quel cuscinetto protettivo, di cui le grandi potenze hanno bisogno per accrescere la loro sicurezza nazionale. Dopo la caduta dell’impero sovietico, l’Ucraina aveva assunto le caratteristiche di uno Stato neutrale. Tuttavia, gli Stati Uniti hanno cercato di assorbirla nella Nato, provocando la reazione di Putin che, nel marzo 2014, ha invaso l’Ucraina orientale e la Crimea, dove si trova una base navale russa d’importanza analoga a quella di Tartus in Siria. È la base di Sebastopoli, che affaccia sul Mar Nero.
Trump vuole riconciliarsi con Putin e proporgli una soluzione pacifica in Siria e in Ucraina. Hillary, invece, ha annunciato che intende fronteggiare Putin a muso duro. A ciò occorre aggiungere una dose di rancore personale. Hillary accusa Putin di avere rivolto una serie di attacchi informatici contro il suo partito per favorire Trump.
Tutto lascia prevedere che l’elezione di Hillary provocherebbe una crescita delle tensioni con la Russia in Siria e nell’Ucraina orientale. Questo non è utile agli italiani, per due ragioni.
La prima ragione è che la fuga dei siriani manda in crisi il sistema dell’Unione Europea, causando grandi problemi all’Italia, che è un paese di confine. Gli europei agognano la fine del conflitto in Siria anche perché produce una forte intensificazione dei processi di radicalizzazione, che ha generato il fenomeno dei foreign fighters. Tali erano i terroristi della strage di Parigi del 13 novembre 2015. Insomma, l’elezione di Hillary rischia di prolungare la guerra civile siriana di altri quattro anni, pari alla durata del suo primo mandato come presidente. La seconda ragione, per cui gli italiani trarrebbero un beneficio dall’elezione di Trump, è che il conflitto nell’Ucraina orientale è destinato a creare una pressione sulle nostre finanze pubbliche. Da tempo, gli americani chiedono agli italiani di spendere di più per la Nato. Secondo gli accordi, l’Italia dovrebbe spendere almeno il 2% del Pil per la difesa. La Casa Bianca ci fa notare che spendiamo soltanto lo 0,95%. Una crescita delle tensioni con Putin, in Ucraina, spingerebbe gli americani ad essere più insistenti nei nostri confronti. Più soldi il governo italiano dovrà spendere per le munizioni anti-russe della Nato, meno soldi potrà spendere per gli italiani più bisognosi. Per non parlare delle sanzioni contro Putin. Nel caso di un conflitto in Ucraina, diventerebbero ancora più dure, danneggiando anche l’Italia, che ha forti legami economici con la Russia.
LA RADICALIZZAZIONE
Tuttavia, l’elezione di Trump porterebbe anche importanti malefici. Nel momento in cui i governi occidentali sono impegnati a combattere contro i processi di radicalizzazione attraverso il dialogo interreligioso e l’integrazione, la vittoria di Trump favorirebbe la propaganda dell’Isis, secondo cui gli occidentali sono tutti anti-islamici. Se, da una parte, la radicalizzazione, basata sull’odio anti-occidentale, troverebbe un freno nella fine del conflitto in Siria; dall’altra, subirebbe una spinta con l’ascesa di Trump alla Casa Bianca, il quale ha dichiarato che vorrebbe impedire l’ingresso negli Stati Uniti a tutti i musulmani.
CONTRO CINA E IRAN
Trump sarebbe fonte di tensioni anche in Medio Oriente, dal momento che ha annunciato di voler assumere un atteggiamento più aggressivo verso l’Iran. A suo dire, bisognerebbe riscrivere gli accordi per lo sviluppo del programma nucleare iraniano, in base a una logica punitiva e mortificante per Teheran. Le tensioni aumenterebbero anche con la Cina, contro cui Trump vorrebbe usare maggiore fermezza nelle dispute territoriali nel Mar Cinese Meridionale. La sua alleanza con Putin è concepita in funzione anti-cinese. Alessandro Orsini