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 2016  novembre 06 Domenica calendario

L’ex calciatore che colleziona quadri (soprattutto) rossi

Perché «la Lettura» sceglie di dedicare ampio spazio a un calciatore, che ha militato in molte squadre e che oggi fa il procuratore sportivo? Semplice: perché quell’ex attaccante di Inter, Lanerossi Vicenza, Napoli, Genoa, Milan, Cosmos, Parma e Lazio è il protagonista di una sorprendente vicenda di collezionismo d’arte. Privo di sovrastrutture intellettuali e di una formazione accademica storico-artistica, Oscar Damiani sembra incarnare il lato più positivo dell’esperienza del collezionismo, cui filosofi come Walter Benjamin hanno dedicato illuminanti pagine, svelandone la dimensione ossessiva e perturbante.
Chi raduna oggetti e soprattutto opere d’arte tende a considerare quei «reperti» non come merci dotate di un valore d’uso ma come feticci insostituibili, privi di ogni utilità. Sorretto da una sorta di hybris, disposto a inchinarsi alle leggi del desiderio, mescolando avarizia e feticismo, slancio idolatrico e narcisismo, il collezionista, come ha ricordato Massimo Recalcati, è pronto ad assecondare giochi di rinvii infiniti. Ma, sempre alla ricerca del «momento» definitivo che manca alla sua raccolta, sa che nessuna raccolta potrà mai dirsi conclusa, perché mancherà sempre l’ultimo pezzo in grado di risolverla. Vittime di questa mania sono – si sa – imprenditori e banchieri, stilisti e manager, attori e cantanti. Ma anche calciatori. Non sono poche le personalità legate al culto di Eupalla – allenatori, procuratori, dirigenti, calciatori stessi – che amano acquistare opere d’arte. Tra i primi, il Barone Liedholm. E, poi: il Re Mida del calcio Fabio Capello, il dirigente del Milan (e ora del Barcellona) Ariedo Braida, i tecnici della Juventus e del Milan Massimiliano Allegri e Vincenzo Montella, l’ex difensore di Roma e Juventus Jonathan Zebina, che nel 2011 aprì una galleria d’arte a Milano. Ex calciatori come Mauro Tassotti, Billy Costacurta. E giovani difensori di Inter e Torino come Andrea Ranocchia e Lorenzo De Silvestri.
Cosa spinge questi uomini di sport a farsi sedurre da quadri e sculture? Tante ragioni. Innanzitutto, il desiderio di diversificare i guadagni, concependo le opere d’arte come sicuro «bene rifugio». Ma anche una segreta inclinazione al lusso. E il bisogno di realizzarsi «creativamente», fuori dal circuito dell’attività sportiva: la necessità di «riscattarsi», di «autoaffermarsi», di «nobilitarsi» sul piano dello status sociale.
Infine: una sincera attrazione per l’arte. Un volume uscito in Francia diversi anni fa (Raymond Moulin, Le marché de la peinture en France, 1967) ha elencato le frasi-luoghi comuni che incarnano bene lo stato d’animo dei dilettanti del collezionismo: «Io compro quando ho un colpo di fulmine», «La pittura è la mia vita», «Io non ne faccio una questione di ordine finanziario», «È una passione, un’ossessione», «Il quadro che preferisco è l’ultimo che ho comprato o meglio quello che non possiedo ancora», «Avere l’arte presso di sé è tutt’altra cosa che vederla altrove. È come una donna».
In questa geografia di appassionati d’arte, Damiani occupa un posto piuttosto unico. Ascoltarlo parlare di Fontana e di Kiefer, di Spalletti (Ettore, l’artista; non Luciano, l’allenatore) e di Mochetti fa una bella sensazione per chi lo ricorda mentre si muoveva – intelligente e rapido – nelle aree di rigore, meritandosi l’appellativo di Flipper.
La prima scoperta dell’arte risale a circa quarant’anni fa. All’epoca, Damiani gioca a Vicenza. Un po’ per caso, si imbatte in un quadro – metafisico e tragico – di Mario Sironi: lo acquista. Per un ventenne, un investimento bizzarro. È il suo inizio da collezionista. Negli anni successivi – ancora calciatore – si sente profondamente ammaliato dal mondo dell’arte. Frequenta pittori e scultori: nelle stagioni in cui milita nella Lazio, si reca spesso dal mitico ristorante Pommidoro, dove incontra gli animatori della Scuola di San Lorenzo (Giuseppe Gallo, Gianni Dessì, Nunzio Di Stefano); incrocia Mario Schifano; diventa amico di un autore sofisticato e misterioso come Gino de Dominicis. È come se questo fosse il lato B di una gioventù di successo spesa sui campi di gioco. Conclusa l’attività agonistica, Damiani diventa procuratore di importanti calciatori, avviando anche un’attività di talent scouter. Intanto, dedica sempre più tempo all’arte. Decisiva la frequentazione del suo Virgilio nell’ artworld, Braida. «È la persona che mi ha maggiormente influenzato e stimolato nelle scelte». Spesso insieme con Braida, Damiani va alle mostre, alle fiere, alle aste: orgoglioso, dice di non mancare a nessuna edizione di Basilea o di Miami Art Basel. Conosce molti galleristi: tra gli altri, Lia Rumma, Mazzoleni, Cardi, Tornabuoni, i giovani Francesco Clivio e Maria Fontanabona. Incontra artisti. Con alcuni di loro stabilisce rapporti di consuetudine. Si informa e si aggiorna leggendo libri, riviste, giornali. Attento, però, a difendere la sua ingenuità di sguardo. Damiani tiene alla sua autonomia. Non si fa «gestire» da consulenti, da dealer, né da critici. Segue suggerimenti e rivelazioni che gli vengono da fronti diversi. Ma si fida soprattutto della sua curiosità.
In maniera istintiva, ha orientato le sue preferenze oltre la figurazione solenne di Sironi (amata da ragazzo): informale, astrazione, concettualismo, minimalismo, neoespressionismo. Tra le vette della sua collezione (il cui valore si aggira intorno ai dieci milioni di euro), quadri di Kiefer e di Fontana. E, inoltre: opere di De Maria, Alviani, Mochetti, Pinelli, Pignotti.
Infine, il capitolo più eccentrico e curioso, originale: una raccolta di opere in rosso. A un certo punto del suo viaggio nel frastagliato sistema dell’arte contemporanea, Damiani decide di non procedere più in maniera episodica, dando ascolto solo alla fascinazione di qualche momento. Comincia così a scegliere sculture e dipinti «a tema», di ottima qualità, dominati dalla centralità di quel colore che è simbolo di calore, di vitalità, di vivacità, di irrequietezza, di energia: intenso come il suono di una tuba (secondo Kandinskij).
Da Fontana a Bonalumi, da Castellani a Spalletti (sempre Ettore, l’artista; non Luciano, l’allenatore), da Calzolari a Martin, da Ontani a Biasi, da Nannucci a de Dominicis, da Stampone a Mochetti. Spesso, si tratta di monocromi. A volte, di quadri nei quali il rosso è una presenza centrale, ma non esclusiva («Il mio Spalletti è rosa, ma si intitola Rosso Napoli»). Una scelta originale e sofisticata. Ma forse, per Damiani, un modo per parlare di sé e del proprio carattere irrequieto. Mentre Flipper racconta a «la Lettura» della sua pinacoteca, gli chiedi le ragioni di questa passione. E lui, quasi con understatement : «La mia sensibilità mi porta verso quelle forme. Nient’altro». Poi, spiega che la sua è una collezione «fatta con il cuore». E che a guidarlo non è mai stato un calcolo commerciale. «Compro arte per soddisfare il mio gusto. Perché mi piace. Non per strategie finanziarie. Non ho altre ambizioni. Mi creda».
Ecco il volto pulito del collezionismo d’arte. Al piacere estetico Damiani oramai dedica molto tempo. «Non dovrei dirlo, ma da qualche anno mi occupo più di arte che di calcio». Oggi ha 66 anni. «Del resto, dopo i sessant’anni, alcune passioni sono più forti e intense di quando si è ragazzi». Questo interesse si rivela nel bisogno di avere un contatto diretto e fisico con le opere. «Ci sono alcuni miei colleghi che parlano di calcio senza andare a vedere le partite: per me sarebbe impensabile. Amo andare allo stadio, tifare, arrabbiarmi, studiare come si muovono i calciatori in campo. Direttamente. In tribuna», dice Damiani.
La medesima esperienza si ripete con l’arte. Damiani dice di trovare inspiegabile la scelta di tanti importanti collezionisti che conservano le loro opere in un caveau e sono pronti a rivenderle per acquistarne altre. «Io preferisco esporre i quadri nella mia casa e nel mio studio. Li guardo. Mi affascina quando vengono gli artisti – come ha fatto Mochetti – a installarli qui da me e posso spiarli mentre lavorano. Le sembrerà eccessivo e infantile quello che sto per dirle: guardare un quadro di Kiefer o di Fontana, per me, è esaltante come fare un gol».