Corriere della Sera, 5 novembre 2016
I liquori sotto il Botticelli nella torre dell’antiquario
In quel vicolo d’Oltrarno, che da un lato sembra stringersi come un cunicolo tra l’onnipresenza delle dimore cinquecentesche e, dall’altro, si affaccia sull’Arno e s’inchina davanti a Ponte Vecchio, l’antica torre-palazzo sembra quasi nascosta e impenetrabile. Ma basta superare la soglia per entrare in un mondo «altro», un po’ casa e un po’ museo, un po’ sogno e un po’ realtà, e muovere lo sguardo ovunque per restare incantanti dalla Bellezza. Statue, arredi, arazzi, sculture e dipinti circondano il visitatore. C’è un Botticelli, Madonna con Bambino e Giovannino che immediatamente t’abbaglia e, poco più in là, un quadro del Vasari. Più avanti è il Guercino ad emanare la sua arte, mentre in altre stanze Segna di Bonaventura, Giovanni Bellini, Andrea Della Robbia, Pinturicchio, Sodoma, Cigoli, Arcimboldo e Cristofori sembrano gli strumenti di una sinfonia dell’arte. «Sono le mie creature, i figli miei, cercati e coccolati come un vero padre per una vita», spiega Gianfranco Luzzetti, da Giuncarico (Maremma grossetana), classe 1932, uno degli antiquari e collezionisti più stimati d’Europa.
Luzzetti vive in questo palazzo, dopo aver esaurito i sogni di una vita iniziata da cameriere e portatore d’acqua per poveri cavatori, ma ha ancora un’utopia da rincorrere. Che sembrerebbe la più semplice ed invece è diventata la più complicata. «Da vent’anni voglio donare questo tesoro alla mia città, Grosseto, ma non riesco», racconta con un’espressione che anch’essa sembra essere uscita da un’opera d’arte dedicata all’incredulità. Il tesoro di cui parla Luzzetti ha un valore enorme (decine e decine di milioni) senza mettere nel conto il palazzo, nato da una Torre medievale della famiglia del poeta Cecco Angiolieri, che s’innalza per cinque piani in un eccellente percorso di arte e gusto architettonico e d’arredo che lo stesso Luzzetti, un maestro anche in questo, ha costruito in decenni. Sale, corridoi, terrazze sono arredate con un attenzione al particolare perfetta. Pinturicchio deve stare lì, sopra quell’antico mobile. Il Cigoli deve risplendere in quest’angolo. Sopra il tavolino con i liquori e le fotografie di famiglia deve svettare un tondo del Botticelli. Nella camera dove Luzzetti riposa, la vista è straordinaria: Ponte Vecchio e l’Arno con il suo incedere lento, come una nenia.
«Ho provato in ogni modo a parlare con tutte le passate giunte comunali di Grosseto, città che amo per nascita maremmana e dove hanno abitato i miei genitori – racconta – dicendo loro che avrei donato le mie opere in cambio della nascita di un museo ben tenuto, vivo, dinamico. Non polvere ma bellezza, capace d’interagire con la gente, di istruirla. E per far questo ho rifiutato proposte da tutta Italia. Anche il Louvre mi ha corteggiato».
La vita di Gianfranco, l’antiquario, è un romanzo: dopo essere stato iniziato all’arte da ragazzo da una contessa-benefattrice romana e passato da una fabbrica di panettoni, Luzzetti si è messo a studiare sodo e si è inventato negli anni Cinquanta la più sorprendente galleria antiquaria di Milano. Persino come attore (era diventato un divo dei fotoromanzi) avrebbe avuto una carriera (come l’amica Sophia Loren gli aveva predetto), ma la sua passione era lì, nell’arte. «Che mi aveva trafitto l’anima come la più struggente delle poesie». Già, la poesia. Luzzetti è stato amico di Montale. «Viveva vicino alla mia casa nei pressi di via Montenapoleone. Mi chiamava toscanaccio e spesso passeggiavamo insieme per Milano, a volte mi declamava i suoi versi», ricorda Luzzetti. Che poi s’illumina: «Anche le mie opere sono una grande poesia. Sono come figli, sono le mie creature».