Libero, 4 novembre 2016
Ubriachi già da piccoli
Compleanni, anniversari, lauree, ricorrenze varie, gli italiani trovano sempre un motivo per festeggiare. E per bere. Il culto del buon cibo si accompagna a quello per il buon vino. Un’abitudine per certi versi sana secondo i nutrizionisti, che consigliano di accompagnare il pasto a un bicchierino di rosso, ricco di benefiche sostanze nutritive e antiossidanti, ma nociva quando il consumo di alcol viene esteso ai minori. In quest’ambito, l’Italia vanta un primato europeo di cui non possiamo essere orgogliosi: quello del primo contatto con l’alcol nella pre-adolescenza, che avviene intorno agli 11 anni e 8 mesi. In particolare vino o birra, che vengono proposti al bambino, per coinvolgerlo nei festeggiamenti in famiglia, sotto forma di assaggi.
«Un’abitudine molto pericolosa, che radica nel minore la convinzione che l’alcol sia qualcosa non solo di non dannoso, ma persino di positivo, da collegare a un momento di euforia» secondo il professor Luca Bernardo, primario del reparto di pediatria presso l’Ospedale Fatebenefratelli di Milano. Da questo primo sorso alla sperimentazione della prima sbornia,disolitotrai14ei16anni, il passo è spesso troppo breve.
Tra gli adolescenti non mancano neanche gli etilisti, in genere 15enni, che hanno un consumo di alcol patologico e vengono seguiti dai servizi sanitari, pubblici e privati, presenti sul territorio. Come testimonia lo stesso Bernardo, che presso il Centro nazionale sul disagio adolescenziale del polo pediatrico ASST Fatebenefratelli Sacco, da lui diretto, accoglie e supporta i giovani in un percorso di graduale disintossicazione e rinascita. Una vera e propria dipendenza, dannosa tanto quanto quella dalle sostanze stupefacenti, che porta il giovane ad architettare escamotage di ogni genere pur di garantirsi la possibilità di consumare fiumi di alcol dalla mattina alla sera, da solo o in compagnia, ogni giorno, in qualsiasi luogo, fino a distruggersi.
Nonostante la vendita di alcolici ai minori sia vietata, i ragazzi trovano sempre il modo di procurarseli, spesso con la complicità o il silenzio degli adulti, magari offrendo denaro a sconosciuti incontrati per strada affinché acquistino le bottiglie per loro o anche mimetizzandole all’interno di quella che al personale alla cassa apparirà poi come una normale spesa per casa, tra il prosciutto, la pasta e il dentifricio. L’alcol viene conservato nelle camerette, dentro l’armadio, negli zaini, viene introdotto anche a scuola e consumato all’ora di colazione, o nell’intervallo o alla fine delle lezioni. Le ultime mode: fare a gara a chi beve di più (binge drinking) o consumare alcol come sostitutivo del pasto, con la convinzione che faccia dimagrire, sviluppando così gravi disturbi alimentari, come drunkoressia (si beve a digiuno per potenziare gli effetti dell’alcol e poi ci si provoca il vomito per espellere tutto e poi si ricomincia), anoressia o bulimia.
COCKTAIL MICIDIALI
Ma cosa spinge i minori a bere senza limiti? «Il bere toglie i freni inibitori: i ragazzi bevono per essere meno timidi, più gradevoli, divertenti, più accettati. Poco importa come ci si sentirà il giorno dopo», spiega il primario. In fondo, si tratta sempre di questo: del bisogno, insito in ognuno di noi, di sentirsi amati, accettati dagli altri. Risulta però incomprensibile che lo si cerchi di soddisfare a costo della propria stessa vita. Sì, perché di alcol si muore. Ogni giorno. Stesi sull’asfalto in seguito a gravi incidenti stradali o a causa di micidiali cocktail di superalcolici e droghe di vario tipo cannabis, cocaina, droghe sintetiche che un organismo ancora in evoluzione non è in grado di reggere. «Negli ospedali di tutta Italia ogni sabato e ogni domenica arrivano al pronto soccorso minori in coma etilico o per intossicazione alcolica acuta conferma Bernardo ma il fatto più grave è che i genitori, che vengono a prenderli per riportarli a casa, li giustifichino, classificando il loro comportamento come una semplice ragazzata».
Forse non c’è il tempo, oppure manca la voglia, di fermarsi un attimo e parlare con il proprio figlio. O forse è una mancanza di abitudine. Ne è convinto il primario, secondo il quale oggi i giovani sono sempre più soli e spesso si avvicinano all’alcol proprio per solitudine o per noia, o per sedare delle ansie o dimenticare le frustrazioni che vivono nell’ambiente familiare. «Non si sta più insieme. Il lavoro è spesso una scusa. Se non ci si può vedere all’ora di pranzo, almeno la sera andrebbe ripristinata la consuetudine virtuosa di cenare insieme seduti a uno stesso tavolo e non, come spesso accade, uno sul divano, un altro in cucina, un altro in piedi». È la mancanza di ascolto a far ammalare i giovani, di alcolismo o di disturbi alimentari o di tossicodipendenza. E la medicina migliore è l’amore. Non un amore eccessivo, soffocante, invadente, insidioso tanto quanto l’indifferenza. Bensì quello che porta il genitore a chiedere al figlio: «Come ti senti?», e non solo «come è andato il compito?», mettendo al centro di tutto le sue emozioni. «È importante che il genitore sia un modello per il ragazzo e non un amico alla pari, il cosiddetto “genitore in jeans”: durante l’adolescenza, i giovani hanno bisogno di esempi a cui ispirarsi e punti di riferimento solidi, non solo di regole», sottolinea il professore.
IL RUOLO DEI GENITORI
Tocca ai genitori ravvisare quei campanelli di allarme che indicano che il proprio figlio sta vivendo un momento di disagio. Se il rendimento scolastico peggiora, se il giovane non ha più voglia di fare sport, se appare sempre sedato e dorme troppo, anche in orari in cui dovrebbe studiare o dedicarsi ad un hobby, se diventa aggressivo, se trascura la sua igiene, allora è probabile che qualcosa non vada. «La primo passo da fare è parlare con il ragazzo, in un momento tranquillo» spiega Bernardo, che sottolinea l’importanza che i genitori facciamo squadra davanti alle difficoltà, senza mai contrapporsi.
L’autocura è sconsigliata. «Da problematiche come l’alcolismo non si esce da soli. In questo caso tutta la famiglia, e non solo il ragazzo, ha bisogno di supporto» afferma il pediatra. Il limite da superare è quel senso di vergogna che porta molti genitori a nascondere certi problemi per timore di essere giudicati. Solo il coraggio di parlarne può salvare il minore dai danni irreversibili che l’abuso di alcol produce sulla sua salute, nonché sulla sua intera esistenza. La scuola, quindi i professori, possono offrire un grande aiuto alla famiglia, a condizione che non ghettizzi il ragazzo, etichettandolo come “ubriacone”, o “poco di buono”.
Infine, il terzo soggetto: le strutture sanitarie, sia pubbliche che private, alle quali i genitori possono e devono rivolgersi per vincere questa battaglia contro una dipendenza che avvelena e logora l’intero nucleo familiare. Nella Casa Pediatrica dell’Ospedale Fatebenefratelli il professor Bernardo, con il supporto del suo team, segue con successo sia i minori che bevono in modo patologico che quelli che abusano di alcol nel weekend. «Il rischio da evitare è che questi giovani si ritrovino senza futuro, che si giochino la loro intera esistenza, magari invischiati nelle maglie della criminalità», afferma il primario, che consiglia ai ragazzi che abusano di alcol o di sostanze stupefacenti di confrontare una fotografia di prima che iniziassero a bere con una di oggi. Un semplice gesto per accorgersi con un colpo d’occhio che non si è più gli stessi.