la Repubblica, 4 novembre 2016
L’amaca di Michele Serra
SE FOSSI uno dei cervelli fini che si occupano della campagna elettorale della Clinton (ma anche di chiunque altro), mi guarderei bene dal diffondere continuamente la voce che “i mercati” fanno il tifo per lei; e se non vince collassano per la disperazione. Perché “i mercati”, di questi tempi, non godono di grande popolarità né possono vantare un’aura benefica, e anzi sono molto sospettati, a ragione o a torto, di lavorare solo in favore di pochi. Non è, quello dei mercati, un supporto che possa schiodare di dosso a un candidato la nomea di essere parte della “casta”, benedetto dall’establishment, fautore di uno status quo che negli ultimi anni non si è particolarmente distinto per la capacità di estendere il benessere; e anzi.
Se poi il candidato “benedetto dai mercati” è in qualche modo di sinistra, sia pure per remota discendenza o per cauta parentela, allora è ancora più controproducente continuare a dire che Wall Street o la City o altri santuari del quattrino palpitano per lui. Perché resiste pur sempre l’idea che la sinistra, o ciò che ne rimane, abbia funzioni di redistribuzione del reddito, e di allargamento del benessere. Poi va a finire che vincono i populisti, con i peggiori ceffi del ramo, perché un sacco di gente, a furia di sentir dire che Wall Street è con Hillary, vota Trump. (Che con “i mercati” si metterebbe poi d’accordo in un baleno, ma questa è un’altra storia).