la Repubblica, 4 novembre 2016
Il potere degli agenti e l’ingerenza nei club. Le grandi manovre dietro l’Inter d’Asia
ROMA Quando Ancelotti dice che «molti club hanno dato tutto il potere agli agenti», forse pensava proprio all’Inter. E a Kia Joorabchian. Mediatore e agente anglo-iraniano, tra i primi a cavalcare il trend dei fondi di investimento all’inizio degli anni Duemila, oggi lestissimo a occupare un ruolo rilevante nelle operazioni con la Cina. E Cina, in Italia, significa Inter, appunto: per questo il mercato interista firmato Suning non può prescindere da Joorabchian. È lui il braccio armato della proprietà, lui che ha portato in estate Gabigol e Joao Mario per un’ottantina di milioni complessivi e favorito la scelta di De Boer. Ora dirigerà la selezione del sostituto: a Milano sbarcano il figlio del proprietario, Steven Zhang, e Jun Ren, che materialmente sceglierà insieme al ds Ausilio se scongelare la candidatura di Pioli oppure farsi convincere da quello che diranno i candidati esotici, Vitor Pereira e Marcelino. Sempre non vinca la corsa Hiddink, che Joorabchian spinse già al Chelsea.
Per anni è stato quello l’orto più fertile del “mediatore” che portò in Europa Tevez e Mascherano. Grazie all’amicizia con un oligarca russo si era legato ad Abramovic, con cui ha poi fatto affari insieme ai sodali Pini Zahavi e Giuliano Bertolucci, il suo ponte con il Brasile (di cui è il re del mercato) considerato il divieto di ingresso nel Paese dopo un losco affare realizzato ai tempi in cui comandava al Corinthians. Raccontano che per l’Inter abbia già contattato una ventina di allenatori e altrettanti calciatori, promettendo mari e monti. Ogni affare una commissione, ogni commissione una pioggia di denaro.
E non è l’unico. Jorge Mendes per esempio: fattura 647 milioni e controlla vari club, dall’Atletico Madrid al Monaco. Idem la Doyen del suo ex amico Nelio Lucas, “padrona” del Porto: le loro società acquistano direttamente partecipazioni nel cartellino di giocatori, portando nomi altisonanti a chi non potrebbe permetterseli. Poi incassano il ricavato della successiva rivendita. Macchine da soldi, insomma, usando il sistema dei fondi d’investimento. E nonostante il divieto esplicito della Fifa.
Perché una volta l’agente interveniva ad affare chiuso: i club si accordavano e poi l’acquirente trovava l’intesa con il procuratore che rappresentava il calciatore. Ora fa, fanno di più: generano la necessità, sollecitando la società o i mal di pancia del campione di turno. Trovano un acquirente che faccia felici tutti. Ricamano l’affare e poi lo servono, da siglare, alle società. Strategia preferita di Mino Raiola: aveva iniziato con Moggi, ha fatto ricco il Milan, ora è legatissimo alla Juventus del “suo” Nedved (ne era l’agente). Allo United che voleva Pogba è riuscito a piazzare la scuderia al completo o quasi, imponendo Ibra e Mkhitaryan. Per il centrocampista francese ha incassato una commissione di 25 milioni su un affare da 250 (stipendio compreso), molto più del 3 per cento previsto dalle norme federali.
Il presidente della Fifa Infantino ha puntato l’indice sui traffici di mercato: «Se si spostano 2 miliardi di dollari in uno o due mesi, è necessario assicurarsi che tutto avvenga in modo pulito». Perché spesso l’unica cosa che conta è spostare uomini per fare fatturati. A scapito della trasparenza: i calciatori sono beni di lusso, utilissimi per”muovere” grandi quantità di soldi.
In Italia nel 2015 i club di serie A hanno versato corrispettivi ai procuratori per 84,442 milioni, 122 in Premier. E questi sono soltanto quelli accertati. Inevitabile che comandino gli agenti: «Ingerenze inaccettabili», denuncia Guardiola. Forse voleva dire inevitabili.