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 2016  novembre 03 Giovedì calendario

Gli angeli del fango 50 anni dopo
. «Così l’alluvione cambiò l’Italia»

Mangiavano quello che si trovava, come ricorda Carlo Luigi Ciapetti, «e non ho dimenticato la fame, tanta fame. Dormivo dove capitava e quando si poteva, su una sedia, con una coperta per terra, ma anche sul letto che vidi una sera, nel piano rialzato di un negozio con le vetrine scardinate dall’acqua». Quei ragazzi stavano facendo una rivoluzione, salvando una città, sommersa dal fango e dalla puzza, senza luce, senza gas e senza cibo, totalmente dimenticata dal governo, che non credeva a quello che succedeva. Arrivavano da tutto il mondo e molti diventeranno famosi: Gerard Schroeder, Josckha Fischer, Margherita Hack, Sergio Staino, Joan Baez, Paolo Grossi, Antonello Venditti e persino un giovanissimo Francesco De Gregori, studente del Virgilio di Roma, che accompagnò «il padre Giorgio, dirigente delle biblioteche vaticane» a dare una mano. Vennero perché li chiamavano i radioamatori, perché amavano Firenze, per sentirsi utili. Non fu solo cronaca, ma una pagina di storia. 

Onda giovanile 

Quell’onda giovanile fece da spartiacque fra un’Italia e l’altra, segnò il tempo e la nostra vita. Qualche mese prima dell’alluvione, ricorda Erasmo D’Angelis, che ha scritto Angeli del fango su questa storia meravigliosa, Giunti editore, «un preside sospese uno studente perché portava – testuale – “la zazzera alla Beatles”». E il 2 agosto 1965 il mattinale della pubblica sicurezza di Roma riportava il fermo di un centinaio di giovani condotti in Questura per la lunghezza dei loro capelli: i maschi furono schedati come «capelloni». 

Ma l’alluvione di Firenze sommerge all’improvviso questa visione antica del mondo e abbraccia insieme questi capelli lunghi, le barbe contestatrici e i tanti volti sconosciuti di ragazzi e ragazze. Giovanni Grazzini sul Corriere della Sera è il primo a rendere omaggio a questa generazione e a battezzarli per quello che sono: «Onore ai beats, onore agli angeli del fango». Da allora Firenze vive questa storia unica e commovente, che resta nel cuore di tutti per sempre. 

Mario Primicerio, che era uno di loro, sporco di melma e di puzza, e che poi diventerà sindaco della città, dice che «non è solo un mito che questa gioventù abbia preparato e precorso lo spirito del ‘68». Oggi a cinquant’anni da quella terribile alluvione, con la Protezione Civile e i volontari che aiutano i paesi colpiti dal terremoto, facciamo fatica a capire quell’entusiasmo senza organizzazione, quella fierezza strana, tutto quell’accorrere senza che nessuno li avesse chiamati. Perché era questo che stava capitando. 

Giornata celebrativa

Ora Firenze li ringrazia, con una giornata celebrativa, il 4 novembre, chiedendo a tutti di tornare qui, a guardare il loro miracolo, a riviverlo. Grazie a loro, Firenze, unica città al mondo, ha fondato con Giorgio Moretti «Gli angeli del bello», che sono la prosecuzione di questa storia, giovani volontari che ripuliscono le strade sporcate da un’altra alluvione, quella dei turisti di massa. Ma questi sono coordinati e diretti da qualcuno. Allora non fu così. Mario Pantano, che faceva parte della goliardia di Bologna, partì con un mucchio di amici: «Ma noi siamo stati la forma più organizzata. Due pullman, degli ospedali da campo, i medicinali». Gli altri, come Maria Cristina Tardi che partì sempre da Bologna con un’amica e un paio di stivali rossi, non sapeva neanche dove andare: «davamo una mano nei negozi e nelle case». Susan Glaspool, inglese della Cornovaglia, aveva solo due sandali e moriva di freddo in tutta quell’acqua.
Pantano era presente quando arrivò Ted Kennedy e vide l’unica ragazza, Silvia Fassò, che gli sporcava l’impermeabile mentre gli stringeva la mano («sì, sono stata io, studentessa del liceo Galvani di Bologna. Fu molto gentile, e accettò anche una democratica pacca sulla spalla che gli insozzò il vestito. Poi tutti vollero toccarlo»). Lui dice che sa com’è andata davvero: «C’era il fotografo della Nazione e ci disse, dategli una manata che viene meglio, perchè l’impermeabile era troppo bianco e luccicava». 

Molti di loro, ricorda Pantano, «li ho rivisti nel Movimento Studentesco». Moltissimi sono docenti universitari. Maria Cristina ha fatto la maestra e adesso ha una scuola di danza. Susan ha conosciuto in mezzo al fango Giuseppe Bottaro: «Ma come fai con quei sandali?». Si sono sposati. E Luigi Ciapetti non fa più il radioamatore. Aveva un trasmettitore Geloso G225 e fu lui alle 4 del mattino del 4 novembre 1966 a dare l’allarme: «Chiamata generale, chiamata generale! Da I1CLC, l’Arno ha rotto gli argini, c’è nessuno in frequenza?». Ricorda che lo sentirono anche al di là dell’Oceano: per quello vennero da tutto il mondo. Lui è diventato dirigente di una società di calcolatori elettronici. Han fatto tutti la loro strada, ma quella strada passa da qui, dalle migliaia di libri e opere d’arte sottratti al fango, da questo museo a cielo aperto restituito al mondo. Passa in mezzo alla nostra vita. Cinquemila ragazzi che ci hanno insegnato come si fa.