la Repubblica, 3 novembre 2016
Ma quale panino a scuola trionfa il piatto di mamma
ORE 12 d’un giorno d’autunno. Una scuola elementare di un quartiere popolare torinese. Refettorio. A una prima occhiata i bambini sembrano tutti uguali: stesso grembiulino blu, stesso appetito ferino, tutte le sfumature della pelle (qui l’80 per cento è di stranieri di seconda generazione). Tutti a mangiare il menu del giorno somministrato dalle signore della Camst, il colosso italiano della ristorazione collettiva: un vassoio arancione che contiene, in appositi scomparti, riso in bianco, fagiolini lessi, tonno, pagnotta e pera. Ma, a guardare meglio, non tutti hanno il plateau davanti.
Più d’una trentina, circa il dieci per cento degli alunni dell’istituto, tiene a tracolla una borsetta-frigo da cui sta per estrarre il proprio pasto. Chi ha quella di Hello Kitty. Chi quella di Spiderman. Dentro, tutte le immaginabili variazioni sul tema “schiscetta”: un semplice involto di stagnola; un contenitore termico multiscomparto; cibo confezionato così come lo si trova nel suo habitat naturale, lo scaffale del supermercato. È questo il risultato dell’ormai celebre “battaglia del panino” che ha visto un manipolo di genitori piemontesi rivolgersi ai tribunali per ottenere quest’anno – in attesa di un definitivo pronunciamento della Cassazione – la possibilità di sottrarsi al servizio di mensa e far da sé. Da Torino poi il “movimento” s’è diffuso in Lombardia, in Campania, in Liguria... I “rivoltosi” sono animati, in realtà, da istanze molto diverse: c’è chi s’è mosso per motivi economici, chi lamenta la scarsa qualità della mensa, chi, infine, è scaldato dal sacro fuoco dell’affermazione dei diritti individuali in tutte le situazioni (confronta la voce: “vaccini”).
Colti di sorpresa dalle sentenze favorevoli, scuole, Comuni e Miur all’inizio hanno balbettato, indecisi se accettare questi bimbi pasto-muniti, se farli mangiare in classe, se dotarli di qualche comfort. Nell’istituto in cui ci troviamo, fin dall’inizio hanno anteposto la serenità dei bimbi al match scissionisti-istituzioni: qui da sempre mangiano tutti assieme, con buona pace della burocrazia. Non solo: visto che molti genitori avevano preso alla lettera lo slogan “panino libero” e fornivano ai piccoli un sandwich tutti i dì, la dirigente scolastica ha emanato una circolare per consigliare un’alimentazione variata e completa.
I risultati si vedono. Certo, c’è la bambina che per pasto ha un toast col salame e dei salatini ai wurstel e stop; c’è il bambino che ha un contenitore con due etti di rigatoni e basta; c’è la ragazzina che se le chiedi cos’ha di frutta dice “lo yogurt”, che si rivela in realtà un budino cioccolato e vaniglia. Ma la grande maggioranza è fornita di cucina cucinata: merluzzo con patate e polpette al sugo, fagiolini-carote e insalata, tacchino arrosto e spezzatino, il tutto (quasi) sempre accompagnato da un mandarino, una banana, una pera. «Stiamo parlando ai genitori – dice la dirigente – il pranzo è un momento fondamentale e in Italia è considerato “tempo scuola”, un’occasione per stare assieme e fare anche un po’ di educazione alimentare, ché se no finiscono tutti obesi come in America. Il pasto della mensa è più che dignitoso, gli darei un 7; il baracchino da casa può andare, a patto che si capisca che non si possono seguire solo i gusti dei ragazzi o la propria fretta». Mentre lo dice, una bambina apre una confezione di salame mono-porzionata e un’altra si gusta un piatto di salmone affumicato. Accanto a lei, una compagna ridacchia: «Magari una volta mi porterò il sushi». Tuttavia, tutti – che mangino il tonno in scatola o la delikatessen comprata al mercato chic – hanno una cosa in comune: se chiedi loro «chi te l’ha preparato?» rispondono, senza eccezione, «la mamma».