Corriere della Sera, 3 novembre 2016
L’Europa in ostaggio tra valloni e fiamminghi
Ho letto che il Belgio ha finalmente firmato il Ceta (trattato di libero scambio) con il Canada, perché la regione della Vallonia ha tolto la sua precedente contrarietà e si è espressa a favore. Sono così stringenti le regole in Belgio? È la prima volta che capita una situazione del genere? Se una regione con meno dell’1 per cento della popolazione totale della UE può bloccare la firma di un trattato, chi potrà mai pensare di negoziare in futuro con Bruxelles?
Attilio Lucchini
Caro Lucchini,
Dietro la grottesca vicenda del Ceta vi è una lunga storia di bisticci e di incomprensioni. Sin dalla sua nascita, dopo la rivoluzione borghese del 1830, il Belgio si compone di due grandi comunità: i valloni francofoni e i fiamminghi, a cui si è aggiunta una piccola comunità di lingua tedesca. Ma per molto tempo, sino alla Seconda guerra mondiale, il Belgio appartenne linguisticamente e culturalmente all’orbita francese. Il quadro cambiò quando le miniere di carbone della Vallonia perdettero una buona parte della loro importanza, mentre la comunità fiamminga dava prova di maggiore dinamismo economico e commerciale. L’arena in cui le due comunità cominciarono a litigare fu quella della lingua e della cultura. I fiamminghi smisero polemicamente di parlare francese, pretesero di usare la loro lingua in qualsiasi pubblica circostanza, rivendicarono il possesso e la gestione di tutto ciò che apparteneva alle loro tradizioni culturali. La pagina più assurda di questo duello omerico fra due piccoli popoli fu la spartizione dei beni culturali dell’università di Lovanio (Louvain in francese, Leuwen in fiammingo). Per quelli che appartenevano a entrambi i popoli la divisione fu brutalmente chirurgica: metà all’uno e metà all’altro, anche se questo poteva avere per effetto la distruzione di un bene difficilmente divisibile.
Il risultato di questa guerra intestina fu la riforma federale dello Stato con la creazione complessiva di sette parlamenti. Chi sperava che la concessione di tante autonomie avrebbe prodotto uno Stato meno litigioso, commise un errore. I poteri concessi dal governo centrale e il malessere delle democrazie rappresentative, insidiate dai movimenti populisti, hanno avuto l’effetto di moltiplicare le invidie e gli screzi. Nella posizione assunta dal presidente della Vallonia sulla ratifica del Ceta non vi è un progetto economico e commerciale migliore di quello negoziato con il Canada. Vi è soprattutto il desiderio di esistere, di essere visto e ascoltato, di competere in visibilità con il rivale fiammingo.
La vicenda contiene almeno due lezioni. In primo luogo dimostra che la sorte di un trattato internazionale non può essere lasciata nelle mani di chi non può avere una visione complessiva degli interessi in gioco e non risponde delle sue azioni alla intera comunità nazionale. In secondo luogo dimostra che l’unica risposta razionale a questo frazionamento delle sovranità locali può essere soltanto l’Europa con un colpo di acceleratore sulla strada della sua unità.