Corriere della Sera, 3 novembre 2016
Il poliziotto stermina la famiglia. «Era ossessionato dai gratta e vinci»
Ha telefonato al 113, ai suoi colleghi poliziotti alle 6 e mezza di mattina: «Venite. Ho ucciso la mia famiglia. Vi lascio la porta aperta». Sono bastati dieci minuti perché le volanti si fermassero davanti al portone numero 6 di piazza Mario Conti, nel popoloso quartiere di Cornigliano, Ponente di Genova. Un palazzone color ocra, con una ventina di appartamenti. Quando sono entrati gli agenti hanno trovato quattro corpi: Giada, 10 anni, e Martina, 14 anni, nei letti a castello, Rosanna Prete, 49 anni, nella stanza accanto, nel letto matrimoniale, lui, l’omicida, l’assistente capo Mauro Agrosì, 49 anni, in soggiorno: si era ucciso con un colpo alla testa.
Secondo la ricostruzione degli investigatori ha sparato prima alla figlia più piccola, nel lettino inferiore, due colpi alla testa, poi alla più grande, un colpo solo al capo. Per la moglie due colpi al cuore e uno alla testa. Per attutire il rumore degli spari ma forse anche per non vedere quello che stava facendo ha coperto il volto delle figlie e della moglie con un cuscino, sempre lo stesso. Poi ha ricaricato la pistola d’ordinanza e l’ha fatta finita. Ha lasciato un biglietto: «Troppi problemi insormontabili. Non voglio lasciarle senza marito e senza padre preferisco portarle con me». L’autopsia accerterà quello che gli inquirenti sospettano, ovvero che le ragazzine e la madre siano state sedate: sono state trovate in posizione di riposo, a letto, impossibile che nessuna abbia sentito nulla, che non ci sia stata una reazione.
Quali siano i «problemi insormontabili» invece ancora non è chiaro. La polizia sta interrogando amici e parenti. Ma una cosa è apparsa evidente: un uomo schiacciato dalla vita, dalle preoccupazioni economiche, dall’affanno per raggiungere obiettivi di benessere e tranquillità sempre più lontani, tanto che si era messo a giocare. Sperava di trovare nel colpo di fortuna la risposta alle sue difficoltà. Era diventato un giocatore compulsivo. I colleghi del reparto mobile di Bolzaneto dove Agrosì svolgeva lavoro d’ufficio come tecnico di computer ricordano che usciva più volte per acquistare grattaevinci o biglietti delle lotterie nella vicina tabaccheria. Era ossessionato da quelle cartelline che promettevano vincite mai arrivate. Il gioco invece di risolvere i suoi problemi li aveva centuplicati, erano arrivati i debiti anche se non in modo tale – sembra – da spingerlo nelle braccia degli usurai (ipotesi che gli investigatori stanno vagliando).
L’anno scorso Agrosì aveva chiesto un prestito di circa 30 mila euro alla banca utilizzando la cessione del quinto: sui circa 1.700 euro al mese di stipendio gli venivano trattenuti 225 euro e questo sarebbe andato avanti fino al 2025. In famiglia lavorava solo lui e molto c’era da pagare: una figlia in una scuola privata, un istituto paritario dei padri Scolopi, che giocava a tennis, piccole spese diventate improvvisamente troppo grandi. Forse anche il suicidio del fratello, due anni fa, ha aumentato il peso della disperazione. «È terribile – dice il procuratore capo di Genova Francesco Cozzi – come ancora una volta in una violenza di genere emerga l’idea distorta della propria indispensabilità maschile. Così un uomo non riesce a immaginare o sopportare che la propria moglie, i figli, possano vivere senza di lui e si mette al centro di tutto, togliendo agli altri ogni possibilità».
Era in malattia e avrebbe dovuto rientrare in commissariato oggi. Invece martedì sera è tornato a casa a braccetto della moglie, a cena ha somministrato un sonnifero alla sua famiglia e l’ha sterminata.