Libero, 2 novembre 2016
Moda, prediche e kamikaze: le riviste del terrore islamico
«Fonte aperta della Jihad», con questo nome i gruppi terroristici di matrice islamica indicano le loro riviste, scritte in inglese, che affrontano argomenti di varia natura: tattico-militare, strategica, politica, religiosa. «Fonte» perché da questi giornali il lettore attinge tutto il sapere necessario per trasformarsi in uno spietato soldato con l’obiettivo di annientare gli infedeli. «Aperta» perché tali riviste, altamente sofisticate anche dal punto di vista grafico, sono accessibili a tutti, essendo scaricabili online, possono raggiungere un pubblico potenzialmente illimitato. Un concetto ribadito quasi in modo ossessivo-compulsivo quello di «Open Source Jihad», che su ogni numero dell’Inspire Magazine, rivista di al Qaeda pubblicata per la prima volta nel giugno del 2010 per un totale di 15 uscite, viene definito con queste parole: «un disastro per le nazioni imperialistiche, il peggior incubo dell’America, permette ai musulmani di allenarsi a casa invece di rischiare un viaggio pericoloso all’estero, la open source jihad è ora e a portata di mano». L’obiettivo fondamentale è quello di espandere il terrore in modo capillare, mostrando la fragilità dell’Occidente.
Tra le riviste più in voga anche il Dabiq, manuale periodico dei Foreing Fighters, fondato dall’Isis e destinato soprattutto ai combattenti o aspiranti tali, uscito per la prima volta nel 2014 per un totale attuale di 15 numeri. Anche le donne musulmane di tutto il mondo hanno la loro rivista, Al-Shamika, che, tra un proclama jihadista e un’incitazione al martirio, si occupa anche di moda e lifestyle. Così, leggendola, è possibile imparare ad essere affascinanti nonché ad utilizzare cinture esplosive. «Un Bignami del terrorismo, da portare in tasca», così Gianluca Sciorilli, direttore operativo della Fabbrica della Sicurezza e della Esim-Global Usa, agenzie che si occupano di sicurezza e formazione in Italia e all’estero, descrive la «fonte aperta jihadista».
MODERNITÀ
Secondo Sciorilli, «l’internazionalizzazione del terrore non è altro che il risultato della internazionalizzazione della comunicazione, resa possibile dalle attuali tecnologie e dal web». Insomma, i terroristi usano i nostri stessi metodi di comunicazione di massa contro di noi con lo scopo di creare cellule spontanee che possano colpire ovunque e in qualsiasi momento seguendo le linee-guida indicate all’interno delle riviste, leggendo le quali il lettore inesperto impara a confezionare in piena autonomia una bomba, a consegnare un pacco-bomba o a piazzarlo in una vettura, a servirsi di qualsiasi strumento a sua disposizione per uccidere, ad accoltellare per strada, persino ultima novità a colpire nelle abitazioni private.
Ma a quale pubblico sono indirizzate queste fonti? Emblematico è il fatto che la lingua utilizzata sia quella inglese. Il pubblico di lettori, potenzialmente milioni in tutto il mondo, che le organizzazioni terroristiche vogliono attrarre è quello islamico americano, britannico ed europeo in generale, «facendo proselitismo e attirando l’interesse soprattutto delle nuove generazioni di musulmani, nati e cresciuti in Occidente», spiega Sciorilli.
Scorrendo quelle pagine intrise di odio, sono ricorrenti le immagini di giovani musulmani. Eccone ora uno intento a spiare un’abitazione privata, ora un altro appoggiato a un reticolato che, come racconta la didascalia che accompagna la foto, rappresenta l’unico vero confine che merita di essere superato: quello tra la paura e il coraggio, ossia tra la nonazione e l’azione omicidiaria.
Colpisce anche la foto di un altro giovane solo, intento a riflettere su un vagone vuoto della metropolitana. In basso, si legge: «Per quanto tempo vivrai in ansia? Invece di restare seduto senza una soluzione, semplicemente alzati, prepara i tuoi strumenti di distruzione, assembla la tua bomba, pronta per detonare». È così che le organizzazioni terroristiche approfittano della crisi economica e del clima di incertezza per fagocitare nella propria orbita giovani senza più speranze, soli e fragili, al fine di trasformarli, senza alcuna pietà, in micidiali armi umane al proprio servizio.
Il soldato autodidatta leggendo impara a fabbricare da solo quella bomba che lo ucciderà, trascinando con sé il maggior numero di morti possibile. Come un angelo del male che sussurra all’orecchio, l’Inspire individua negli Usa, nella Gran Bretagna, nella Francia e nelle altre «nazioni crociate» i principali nemici da distruggere, consiglia di essere insospettabili, di non avere rispetto dei simboli sacri cristiani, di scegliere bene il posto, il momento e gli obiettivi, fornendo una lista dettagliata di esempi di luoghi e date favorevoli per agire. Non mancano neanche le indicazioni su chi uccidere, con tanto di foto segnaletica, nomi illustri della finanza e dell’imprenditoria internazionale, tra questi Bill Gates.
COME A NIZZA
Impressiona leggere, nel dodicesimo numero dell’Inspire Magazine, uscito nella primavera del 2014, nell’elenco delle date e dei luoghi ideali per svolgere azioni terroristiche facendo il maggior numero di vittime: il 14 luglio e la riviera francese. E nella pagina immediatamente successiva ecco l’immagine di un grosso furgone in mezzo alla strada, con in fondo la scritta: «L’uomo giusto nel posto giusto devasta il nemico. Scegli saggiamente». Sorge un lecito dubbio: forse la strage di Nizza dello scorso luglio si sarebbe potuta evitare se solo avessimo preso più sul serio queste riviste? In quest’ottica la Open Source Jihad, considerata dagli stessi jihadisti il punto di forza del terrorismo islamico, strumento infallibile per reclutare manovalanza direttamente in occidente, può rappresentare il suo tallone di Achille: una «fonte aperta» anche a noi, da cui mutuare informazioni importanti per conoscere il reale volto del nostro nemico incappucciato e ciò che sta progettando qui e ora. A patto che ne prendiamo atto per strutturare su questa base la nostra difesa.