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 2016  novembre 02 Mercoledì calendario

L’ex generale di Saddam 
guida l’ultima resistenza

Un ex generale di Saddam Hussein guida la resistenza dell’Isis a Mosul e cerca di sfruttare le divisioni fra curdi e sciiti iracheni per ritardare la caduta della città. Per questo Baghdad ha deciso di stroncare la resistenza islamista con un «colpo di coltello» diretto al cuore della città e condotto dalle forze speciali della Golden Brigade. Ma la componente sciita al potere a Baghdad guarda già oltre Mosul e vuole avvicinarsi alla Siria e a Raqqa con una manovra avvolgente che vede protagoniste le milizie escluse dall’assalto diretto alla capitale del Califfato.

L’offensiva per la conquista di Mosul è entrata nella terza settimana con un bilancio positivo e qualche preoccupazione. Serve un’accelerazione per evitare che lo Stato islamico riesca nel suo intento: trascinare le forze avversarie, soverchianti per numero di combattenti e molto meglio armate, in una lunga guerriglia urbana. L’accanita resistenza nei villaggi della cintura urbana è stata organizzata per guadagnare tempo e infliggere perdite tali da togliere slancio all’attacco. L’Isis sapeva che i peshmerga difettano di armamenti pesanti e mezzi corazzati e ha cercato di dissanguarli con ondate massicce di veicoli kamikaze.


Secondo l’Intelligence curda questa strategia è stata studiata da Abu Ahmad al-Alwani, un ex comandante di Saddam che conosce bene la provincia di Ninive ed è ora il più stretto consigliere militare del califfo Abu Bakr al-Baghdadi in Iraq. Al-Alwani sperava di demoralizzare i peshmerga, creare una spaccatura con l’esercito iracheno e aizzare le tensioni fra arabi, anche sciiti, e curdi a Kirkuk e nell’hinterland di Mosul. La strategia è stata però neutralizzata da un miglior uso dei missili anti-tank contro le auto e i camion bomba e il rapido dispiegamento delle forze speciali lungo l’asse Khaser-Bartella-Mosul, la via più diretta di accesso alla città. In questo modo ai peshmerga sono stati evitati urti frontali che avrebbero causato troppe perdite e lo Stato islamico si ritrova a combattere all’interno del perimetro urbano in meno di 20 giorni.
A questo punto l’unica carta rimasta ad Al-Alwani è quella di trincerarsi nei quartieri centrali. La deportazione di 25 mila civili dalla cittadine a Sud di Mosul è il primo segnale della seconda fase. Centri di comando e depositi di munizioni, come anche ad Aleppo, sono stati spostati in moschee, scuole, ospedali, caseggiati e saranno riempiti di donne e bambini come deterrente contro i raid aerei. Uno scenario già affrontato però a Falluja dal comandante delle forze irachene impegnate nell’attacco, il generale Abdul Wahab al-Saidi. A Falluja, circa un quarto di Mosul, la resistenza islamista durò meno di un mese, soprattutto per il crollo morale dei jihadisti.

Ora i curdi e il governo di Baghdad sperano in uno sviluppo simile. Con in più la speranza che la popolazione dei quartieri a Est del fiume Tigri, la più ostile all’Isis, cominci a rivoltarsi. Un segnale in quel senso sono le continue esecuzioni di massa, l’ultima ieri di 40 ex membri delle forze di sicurezza. In più lo Stato islamico ha ancora la possibilità di una ritirata verso la Siria. Ma gli islamisti hanno pochi giorni di tempo, perché un’altra offensiva sta avvolgendo Mosul da Ovest, guidata dalle milizie sciite e orchestrata da Hadi al-Amiri, leader dell’organizzazione filo-iraniana Badr.


Il fattore turco

È l’attacco verso Tall Afar, una città di 100 mila abitanti quasi al confine con la Siria. La sua conquista taglierebbe l’ultima via di comunicazione fra Mosul e Raqqa. Ma agli sciiti interessa anche per altri motivi. A Tall Afar vive una importante comunità di turkmeni, in parte sciiti e in parte sunniti, corteggiati anche dalla Turchia. Tall Afar è nei disegni di Baghdad un trampolino di lancio per entrare in Siria e unirsi alle forze di Bashar al-Assad contro tutti i jihadisti sunniti. Nei disegni di Ankara potrebbe diventare una testa di ponte fra Siria e Iraq da dove estendere la propria influenza e debellare i guerriglieri curdi del Pkk e dello Ypg che dominano il Monte Sinjar poco distante.


Unità corazzate turche sono già a Silopi, alla frontiera con l’Iraq e a poche decine di chilometri dal Monte Sinjar. Ankara ha fatto sapere che è un suo diritto combattere i «terroristi curdi» anche oltre il confine, se rappresentano un rischio per la sua sicurezza. Il premier iracheno Haider al-Abadi ha risposto che non permetterà un «aumento della minaccia turca». Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha ribattuto che risponderà se le milizie sciite «porteranno il terrore» fra la popolazione turkmena di Tall Afar. Il fattore turco, come già a Raqqa, potrebbe complicare la rapida presa di Mosul.