Libero, 1 novembre 2016
Pasolini si faceva raccomandare da fascisti e Dc
Occupandomi da anni dell’assassinio di Pier Paolo Pasolini, sono profondamente convinto che la verità giudiziaria l’allora diciassettenne Pino Pelosi unico artefice dell’uccisione
del poeta non coincida con ciò
che davvero accadde a Ostia nella notte tra l’1 e il 2 novembre del 1975.
Sono però profondamente convinto anche di un’altra cosa: in troppi rendono da tempo a Pasolini un cattivo servizio adulterando una verità non meno importante, quella sulla sua persona. Costoro, per una forma perniciosa d’amore, misconoscono uno dei tratti fondanti della personalità pasoliniana: quella contraddittorietà che Pasolini stesso tante volte ebbe a rivendicare.
L’ultimo esempio di “mistificazione a fin di bene” lo si è avuto sabato scorso con l’uscita all’ interno di Alias, l’inserto culturale del Manifesto, di un articolo intitolato Quando Pasolini era precario. Ne è autore Giovanni Giovannetti, fotografo (suoi sono alcuni tardi ritratti, peraltro bellissimi, proprio di Pasolini), saggista e anche editore tramite l’agenzia Effigie. Il pezzo si occupa dei primi anni romani di Pasolini, il 1950 e il 1951, nei quali lo scrittore, vivendo una situazione di precarietà economica, cerca comprensibilmente di trovare qualcuno che lo raccomandi per fargli ottenere un impiego di tipo intellettuale. Questi tentativi del giovane Pier Paolo erano già noti, ma avendo avuto accesso ad alcune missive inedite conservate presso il Gabinetto Vieusseux di Firenze, Giovannetti menziona nel suo articolo un individuo di cui finora non era emerso il ruolo decisivo nel procurare a Pasolini un posto di insegnante presso la scuola media Francesco Petrarca di Ciampino. Questa persona, di cui parleremo fra poco, si chiama Casimiro Fabbri.
Vale intanto la pena far notare come Giovannetti, nel suo articolo, tenda a ribaltare l’essenza dei fatti soprattutto quando ricostruisce le richieste di raccomandazione rivolte da Pasolini ad alcuni esponenti della Democrazia cristiana, e i tentativi di questi ultimi di esaudirle. Nel 1950, per esempio, Pasolini contatta Giovan Battista Carron, un deputato democristiano nativo del Veneto ma residente a Udine, il quale prova a raccomandarlo al friulano Cristiano Ridomi, all’ epoca presidente della Rai. Sarà poi la volta di Tiziano Tessitori, anch’egli friulano, senatore della Dc e futuro ministro. Questi cerca dapprima di raccomandare nuovamente Pier Paolo in Rai, poi prova a sistemarlo alla Treccani, sempre informando il poeta dei suoi tentativi. I quali si riveleranno vani, ma indubbiamente ci sono stati. Il fatto che non siano andati a buon fine, però, è ciò a cui si appiglia Giovannetti per lasciar intendere che, se c’è qualcuno da deplorare, questi non è Pasolini bensì i suoi interlocutori democristiani, inattendibili e inconcludenti.
«Se è vero che furono i democristiani a muoversi in orbita clientelare per Pasolini», scrive Giovannetti, «è altrettanto vero che nulla di concreto Pasolini ne ricavò». Come si è accennato, c’è però qualcuno da cui Pasolini ottenne un aiuto concreto, e questo qualcuno ha nome Casimiro Fabbri. Cosa ha fatto Fabbri per Pasolini? È proprio Giovannetti ad averlo meritoriamente scoperto. Scrive ancora il fotografo: «Lo stipendio fisso verrà lo stesso, grazie, si direbbe, al ferrarese Casimiro Fabbri, funzionario del ministero della Pubblica Istruzione nonché poeta, che a Pasolini sembra lanciare l’agognato salvagente». E se Pasolini, in alcune righe autobiografiche, scriverà che la sua assunzione alla scuola di Ciampino è merito del poeta e ispettore scolastico abruzzese Vittorio Clemente, ciò si spiega con il fatto (lo ricostruisce ancora Giovannetti) che Fabbri e Clemente erano molto amici.
Resta da capire chi fosse Casimiro Fabbri. Sul suo conto le notizie sono scarse: uomo di lettere e poeta, era nato a Ferrara nel 1907 ed è morto a Roma nel 1964. Quel che è certo è che Fabbri era stato un intellettuale organico al regime fascista. Lo comprovano alcuni suoi interventi recuperabili nella rivista “Il Libro Italiano”, edita dal Ministero dell’Educazione Nazionale e dal Ministero della Cultura Popolare. Sul n. 10 dell’ottobre 1940 c’è persino un suo scritto dedicato alla discussa figura di Cornelio Di Marzio, esponente di spicco del fascismo e tra i firmatari delle cosiddette leggi razziali. Dal momento che una non piccola parte della classe dirigente fascista approdò indenne alla Repubblica, i trascorsi di Fabbri non devono stupire. Né, a nostro avviso, deve suscitare troppo scandalo che Pasolini si sia giovato, in un frangente di particolare necessità, dei buoni uffici di costui. Ma essendo passati, nel 1951, solo pochi anni dal crollo del fascismo, non è francamente credibile che un uomo come Pasolini non fosse al corrente della parabola professionale ed esistenziale di Casimiro Fabbri. Il quale, per di più, aderì nel dopoguerra al Movimento Sociale, sostenendo la corrente che faceva capo a Giorgio Almirante (segretario della Fiamma dal giugno del 1947 al gennaio del 1950). Eppure Pasolini non ne rifiutò il supporto. Così come, nel 1960, non si tirò indietro di fronte alla possibilità di scrivere sulla rivista “Il Reporter”, finanziata dal Msi.
Tutte condotte che possono benissimo essere riferite a quella spiazzante mancanza di linearità che Pasolini per primo reputava un elemento decisivo di sé. Il problema, appunto, è che troppi “pasoliniani” sembrano voler privare Pasolini dei suoi dati di umanità, come se non di un uomo si trattasse ma di un dio. Umanità che, nel bene e nel male, era invece in Pasolini debordante. Ed è infatti riemersa anche in un articolo che, come quello di Giovannetti, ha provato a negarla.