Corriere della Sera, 1 novembre 2016
Perché è impossibile (almeno finora) prevedere le scosse
1. Perché non si riesce a prevedere un sisma?«Perché i terremoti dipendono da leggi che non conosciamo», spiega Andrea Billi dell’Istituto di geologia ambientale e geoingegneria del Cnr. «Sappiamo dove avvengono – aggiunge —, le zone interessate, ma i processi che li determinano e che sono alla base dei fenomeni ancora li ignoriamo». I sismologi hanno ben chiaro il comportamento delle rocce, ma non basta. «Siamo davanti a un fenomeno caotico – precisa Billi – e quando riusciremo a renderlo ordinato allora potremmo avere degli elementi con indizi concreti su quello che sta per succedere». Mancano quindi ancora le conoscenze di base per trovare risposte utili a prevenire disastri e vittime.
2. Che cosa sarebbe necessario?«Occorrerebbe un maggior investimento in ricerca intensificando le indagini che sarebbero di due tipi», prosegue Andrea Billi. «Prima di tutto bisognerebbe realizzare reti di monitoraggio più intense nei punti di rilievo e poi sarebbe opportuno effettuare perforazioni più sofisticate nelle zone di faglia dove si origina il sisma per capire che cosa sia successo». Questo è valido per ogni zona della Terra, tenendo conto che alla base c’è uno scontro fra le placche in cui è suddivisa la crosta terrestre. Ve ne sono sette di grandi dimensioni e otto di dimensioni minori. Tutte sono in continuo movimento, alimentato dal calore sprigionato dal cuore della Terra e dai suoi materiali radioattivi.
3. Che cosa si è fatto finora?«Perché le perforazioni siano efficaci – racconta Alessandro Amato dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia e autore del libro Sotto i nostri piedi (Edizioni Codice) – bisognerebbe essere in grado di scendere per diversi chilometri in profondità e questo è difficile da fare, quasi impossibile». La tecnologia non è ancora in grado di consentirlo. «Tra l’altro le perforazioni come sono state effettuate finora – nota lo scienziato —, oltre che limitate, non hanno prodotto grandi risultati. A Parkfield, in California, si è realizzato un pozzo del genere che ancora raccoglie dati anche se la fase iniziale del progetto si è conclusa senza offrire grandi risultati». A livello internazionale è nata la rete ICDP (International Continental Scientific Drilling Program) che coordina simili interventi.
4. Quale è stata l’operazione più complicata?Quella effettuata in Giappone nel 2011 dopo il terremoto Tohoku-Ori dell’11 marzo dal quale si scatenò lo tsunami che produsse il disastro nella centrale nucleare di Fukushima. È stato uno dei terremoti più violenti della storia: ha raggiunto il nono grado della scala Richter arrivando persino a spostare l’asse terrestre di 17 centimetri. La faglia spaccò il fondo dell’oceano e il moto relativo tra le due placche ha raggiunto i 50 metri. «I giapponesi perforarono in quell’occasione con grandi difficoltà la crosta a 7 mila metri di profondità. Ma l’impresa, ai limiti della tecnologia e irripetibile, non ha permesso di avanzare nelle conoscenze del fenomeno».
5. Che informazioni bisogna raccogliere?«Bisognerebbe rilevare le variazioni chimico-fisiche e mineralogiche del sottosuolo durante le fasi di rottura – precisa Amato – e vedere come cambia la composizione per riuscire a determinare le cause che portano la faglia a rompersi. Per ora ci limitiamo a portare in laboratorio dei campioni di rocce simulando su di essi dei microsismi e scoprire che cosa succede. Anche se raccogliamo dati utili, questi restano sempre troppo limitati nel significato. Ciò che avviene in grande nel sottosuolo risulta più complesso».
6. Quale sarebbe un primo passo indispensabile?«Bisogna aumentare i punti nei quali si rilevano i dati – risponde Amato —. Così potremmo tracciare delle mappe più dettagliate. Poi è opportuno approfondire i rilevamenti con i satelliti e i sistemi Gps i quali ci permettono di misurare le deformazioni del suolo e risalire a ciò che accade sotto. Tutti questi dati ci consentirebbero di costruire dei modelli teorici dei fenomeni più vicini alla realtà raccogliendo indizi utili. Ma la strada è lunga e richiederà forse decenni per trovare risposte adeguate».
7. Quale bilancio si può fare dopo il 24 agosto?Le scosse da allora sono oltre 21 mila, ma alcune non molto forti. Solo nelle 24 ore dopo quella di magnitudo 6.5 (dove il suolo risulta essere sprofondato fino a 70 centimetri) ne sono state registrate 720 in tutta l’area interessata con 217 tra 3 e 4 e 18 tra 4 e 5. La sequenza continua e i sismologi ipotizzano che altri terremoti, anche di magnitudo 5, possano verificarsi.