Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  ottobre 31 Lunedì calendario

«Sulla nostra tavola il sugo della Storia»

«Il sugo ha una storia ma dà anche una storia. Non mangiamo solo per nutrirci ma per piacere, identità, cultura, tradizione. Quella cosa di cui hai nostalgia ha un colore e un profumo: sta lì il senso di quello che stai mangiando. E sono i sughi a raccontarci tutto questo». Parola di Massimo Montanari, il più famoso storico dell’alimentazione in Europa, che al Messaggero presenta così la sua nuova fatica letteraria, Il sugo della storia (Laterza, pp. 203, 12,75)
BIODIVERSITÀ
«Il modo con cui posso declinare un piatto di spaghetti mi fa fare un viaggio in 100 posti del mondo. Perciò – rimarca lo storico imolese – il sugo ci dà biodiversità culturale. Se fatto male, rovina il piatto; e lo rovina anche se è troppo o poco. Il sugo va dosato, ma prima va curato. Serve pazienza, mente e cuore». 
E così dall’epopea di Bertoldo al potere dello spiedo, dalla carne debole alla marcia dei broccoli, queste pagine si sfogliano con piacere portando il lettore a riscoprire la magia di pane e pomodoro, ovvero l’arte della semplicità, ma permettono anche di capire come la cucina sia un luogo efficacissimo (oltre che divertente) per sperimentare team building. 
RIFLESSIONI
Sono riflessioni «su cose che incontri, incroci dove i collegamenti sono viaggi aperti... E se la cucina è maestra di vita (perché ci costringe ad apprendere l’importanza delle procedure) a maggior ragione si può che ci insegna a vivere insieme. E ad avere uno sguardo più profondo sulle cose. 
Oggi, con buona pace dei puristi culinari che gettano in aria i mestoli – anche gli spaghetti alla bolognese sono un piatto: «Piacciono a molti, ed è questa la condizione che garantisce il successo e la durevolezza di una ricetta».
EVOLUZIONE
Ma non solo. In un paragrafo il docente di storia medievale e di storia dell’alimentazione presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna e all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo spiega che «i pani rustici’ sono diventati chic e costano più del pane bianco – fa notare – e finalmente abbiamo dovuto ammettere che sono buoni. Ma è anche un modo per ripensare la storia dei nostri contadini, che è stata, certo, una storia di fame e di frustrazioni alimentari, ma anche, talvolta, di piacevolezze e di buoni sapori».
«Mi piace molto utilizzare il mio mestiere e quel po’ di competenza che mi sono fatto – ci racconta ancora Montanari – per parlare anche di cose piccole della vita quotidiana. Al di là degli studi di ampio respiro, è importante capire che la storia è nelle cose che facciamo, pensiamo e diciamo. Piccole cose possono allungarci il campo e farci vivere meglio».
Occorre recuperare il significato dei gesti e andare oltre ciò che vediamo: «Nei secoli dell’antichità e del medioevo – fa notare sorridendo l’autore – il gesto di bere vino era sbilanciato: il vino lo faceva e lo sceglieva chi lo beveva. Si aggiungevano profumi, si scaldava o raffreddava. Col vino c’era un rapporto libero. Ho nostalgia di questa cosa – confessa Montanari – non perché sia un antiquario ma perché consideriamo spesso il vino come una sorta di monumento che si apprezza ma non si può toccare. E invece il vino è dentro di noi. Dobbiamo ritrovare un rapporto sincero tra chi fa il vino e chi lo beve. E capire che se una persona allunga l’acqua in un bicchiere di rosso, è solo perché ne ha voglia in quel momento. Non c’è scandalo. È un altro passaggio di vita nelle vite di una tavola».
IL GUSTO SI AFFINA
Nulla è scontato nella storia dell’alimentazione: il gusto della pasta al dente, ad esempio, solo da un paio di secoli si è generalizzato. In epoche più lontane, nel Medioevo o nel Rinascimento, gli usi appaiono assai diversi. Maestro Martino, il cuoco più rinomato del Quattrocento, dopo aver fornito la ricetta dei «maccaroni siciliani» precisava che «tali maccaroni vogliono bollire per spatio di due ore». 
Solo agli inizi del Seicento, il ricettario di Giovanni Del Turco per la prima volta giudica conveniente una cottura non troppo lunga dei maccheroni, per di più seguita (come ancora oggi si consiglia) da un getto immediato di acqua fresca «che gli fa diventare più intirizzati e sodi». 
RADICI
Queste storie e tante altre nel libro sembrano fatte apposta per ricordarci come «rivendicare la purezza delle proprie radici» sia «una scelta ottusa e sterile. Ogni identità si è costruita entro circuiti di scambio talora oscuri e misteriosi. Che sarebbe bello studiarli, con curiosità e mente aperta». 
Perché in fondo – e anche qui Montanari ha ragione da vendere – «le vie del cibo sono infinite». Come quelle della vita.