Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  ottobre 31 Lunedì calendario

Per mettere in sicurezza l’Italia ci vogliono quasi cento miliardi

Prima lo ha detto in conferenza stampa, poco dopo mezzogiorno, annunciando per quest’oggi un consiglio dei ministri straordinario. Poi Matteo Renzi ha promesso che «tutto» sarà «ricostruito» come prima anche alle tante “vittime vip” che ha sentito al telefono, come, per esempio, all’arcivescovo di Spoleto-Norcia, monsignor Renato Boccardo. «Ricostruiremo tutto, le case, le chiese, gli edifici pubblici», ha detto il premier al porporato. Il presidente del consiglio aveva detto quasi le stesse cose ai giornalisti e, per loro tramite, al Paese. «Non è solo un terremoto in alcuni Comuni, ma è un pezzo di identità italiana che viene messo in discussione», ha esordito nella sala stampa di Palazzo Chigi, dopo essere stato svegliato come tutti i residenti nella Capitale dalla terra che si muoveva. Renzi non è stato timido, nè si è limitato ad una solidarietà vuota per i danneggiati dai crolli: «Rimetteremo in piedi tutto», ha garantito. 
In ballo non c’è solo il dovere delle istituzioni, il consenso di aree del Pae-
se da sempre molto vici-
ne al partito di cui il premier è segretario, ma an-
che il braccio di ferro con l’Unione europea sulla possibilità di sforare il bilancio del nostro Paese
per le spese di ricostruzio-
ne e messa in sicurezza del territorio. «Non possiamo avere una visione burocratica; i soldi non vanno buttati via, ma ciò che servirà noi siamo impegnati a metterlo in campo, non abbiamo nessun riguardo rispetto a regole tecnocratiche. Le forme tecniche e giuridiche le vedremo», ha sottolineato il premier. 
SFIDA FINALE 
La sfida all’Ue è dunque lanciata e ora il terremoto potrebbe rappresentare nel dramma il Cavallo di Troia per riuscire a liberare qualche risorsa utile per far ripartire l’economia, almeno per quanto riguarda il settore dell’edilizia, con la “scusa” del consolidamento antisismico e della prevenzione di nuovi crolli. Le scosse di questi giorni hanno dimostrato scientificamente che laddove i soldi sono stati spesi e i lavori fatti, si verificano sì i disagi, ma non si perdono vite umane. Alle obiezioni che verranno inevitabilmente da Bruxelles, il premier risponde in anticipo: «Rinnegherebbero l’identità stessa del nostro territorio», ha scandito. Dopo il crollo di un monumento come la cattedrale di Norcia, di fronte al rischio che la nuova faglia minacci l’imponente patrimonio artistico delle Regioni centrali, il premier pensa di poter “strappare” per il prossimo triennio e non più solo per il 2017 lo sforamento del 2%, pari a 3,5 miliardi di euro di deficit aggiuntivo. 
Che Renzi vinca questa partita o no, di certo le cifre che servirebbero per portare a termine la ricostruzione «totale» sono rilevanti. La prima mossa è attesa per oggi, quando si riunirà il consiglio dei ministri. Il governo interverrà con un emendamento al decreto emanato dopo il sisma del 24 agosto, attualmente all’esame del Senato, per aumentare le risorse e «allargare il cratere». 
RISORSE INSUFFICIENTI 
Secondo il presidente della commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia, piddino, le risorse già stanziate sono «assolutamente insufficienti» e andrebbero destinati alla ricostruzione «tutti i 3,5 miliardi» già ottenuti. Ma quanti soldi servono per ricostruire i centri distrutti e, sopratto, mettere in sicurezza almeno quel 44% del suolo nazionale considerato «ad elevato rischio sismico»? Secondo l’Istat in Italia ci sono 27 milioni di case con un valore di ricostruzione pari a 3900 miliardi di euro. Se l’intero Paese fosse raso al suolo, dunque, tanto servirebbe per riportare le cose al momento precedente della scossa. Il pericolo “alto”, però, riguarda meno di metà del Paese e in questa “fetta” il 40% degli edifici risulta costruito dopo il 1974 e, dunque, dovrebbe rispettare le norme antisismiche introdotte quell’anno. Secondo l’Associazione delle organizzazioni di ingegneria, architettura e consulenza deve dunque essere oggetto di un intervento “solo” il 35% degli edifici; il prezzo dell’adeguamento è di circa il 10% del costo di costruzione e, di conseguenza, l’operazione è complessivamente stimata in 36 miliardi di euro. Il Consiglio nazionale degli ingegneri, nel 2013, aveva stimato un costo molto più alto: 93,7 miliardi. «La prevenzione è pur sempre meno costosa della ricostruzione», ricorda Edoardo Bianchi, vicepresidente dell’Associazione costruttori edili e presidente Acer. Per i tecnici di Ance la mancata prevenzione costa 3,5 miliardi di euro all’anno e, come rivela uno studio di qualche anno fa, sarebbero già stati spesi per ripristinare il territorio dopo i vari terremoti 181 miliardi di euro. Tutti gli attori del settore suggeriscono da tempo ai governi un intervento sulla «leva fiscale». Prima chi effettuava lavori antisismici poteva recuperare il 65% della spesa, oggi lo “sconto fiscale” arriva all’80%. Intanto agli edifici pubblici e alle scuole potreranno sollievo i Comuni, cui il governo consentirà di sforare sul “Patto di stabilità” per 700 milioni, 300 dei quali destinati agli istituti scolastici.