CorriereEconomia, 31 ottobre 2016
Berlino: Cari cinesi, non toccate le nostre aziende
Le acquisizioni all’estero non sono più un pranzo di gala, per i cinesi. L’opposizione all’espansione delle imprese dell’Impero di Mezzo si sta gonfiando drasticamente negli ultimi tempi. In America e un po’ in tutta l’Europa. Il governo tedesco sembra particolarmente impegnato nell’impresa: anche perché le aziende tedesche sono tra i principali obiettivi di Pechino. Ma non è il solo. Ragioni economiche? Geopolitiche? Elettorali? Un po’ di tutto.
I fattiLa settimana scorsa, il ministro tedesco dell’Economia Sigmar Gabriel ha bloccato l’acquisizione del produttore di semiconduttori Aixtron da parte del gruppo Fujan Grand Chip. Non un’operazione enorme, 670 milioni, tanto che lo stesso ministero aveva dato il via libera poco tempo prima. La decisione iniziale a quanto pare è stata ribaltata perché i servizi segreti americani hanno avvertito che la Aixtron avrebbe potuto avere un obiettivo di carattere militare da parte di Pechino. Gabriel, che è anche il leader dei socialdemocratici tedeschi, ha preso la palla al balzo e ha bloccato. Probabilmente lo ha fatto con una certa soddisfazione.
Il ministro, infatti, da qualche settimana ha aperto un fronte all’interno del governo di Grande Coalizione (con la Cdu-Csu di Angela Merkel) e con la Ue per difendere le imprese europee strategiche. Una grande discussione si è svolta in Germania nelle settimane scorse a proposito della vendita di Kuka, produttrice di robot industriali, a Midea, un gruppo del Guandong. Operazione che era seguita ad altre nelle quali imprese cinesi avevano comprato aziende.
Gabriel ha dunque avanzato una proposta a Bruxelles affinché ai ministri dell’Economia della Ue sia fornita una legislazione che permetta loro di bloccare acquisizioni dall’estero con valore strategico, che non significa necessariamente militare, ma in tutti quei campi che i ministri ritengono meritevoli di essere protetti.
Le prospettiveGabriel in questo ha trovato l’appoggio del commissario europeo tedesco, il cristiano democratico Günther Oettinger, il quale ha detto che anche i governi di Italia e Francia gli sembrano favorevoli a questo genere di politica industriale. Gabriel si è spinto su questo terreno anche, forse soprattutto, per ragioni elettorali: in vista del voto federale del prossimo autunno vuole marcare una distanza dai conservatori di Frau Merkel su una serie di temi, e questo è uno di quelli che vuole battere. Non facile: per esempio questa settimana sarà proprio in Cina con una serie di imprenditori tedeschi e il blocco dell’operazione Aixtron non è stato il modo migliore per prepararlo. Oettinger, però, segnala che la Cdu-Csu non ha intenzione di restare indietro quando si tratta di apparire difensori dei propri campioni industriali.
In altre parole, la risposta tedesca all’espansionismo cinese – simile a quella di altri – ha ragioni militari, ha ragioni di business, ha ragioni elettorali. Molto spesso coincidono. E sollevano proteste per eccesso di protezionismo da parte di Pechino: alla fine della settimana scorsa si è saputo che due investitori cinesi che stanno cercando di comprare la produttrice di apparecchi per l’illuminazione Osram hanno rallentato la trattativa proprio per il clima improvvisamente protezionista che dicono di respirare.
L’altra campanaAnche le motivazioni espansioniste cinesi, d’altra parte, hanno motivi diversi. Di fondo, riconducibili alla necessità del Paese di entrare in possesso di tecnologia in tempi rapidi. Sia per ragioni militari sia per motivi di business. Mentre dei primi la dirigenza di Pechino non parla, sui secondi è esplicita. Il primo ministro Li Keqiang ha lanciato la parola d’ordina «creare imprese competitive a livello internazionale» e il concetto è stato inserito nel piano quinquennale approvato quest’anno, intitolato Made in China 2025. Il risultato è stato che in Germania interessi cinesi hanno comprato società che vanno dai produttori di pompe ai trasformatori di rifiuti in energia; in Svizzera hanno offerto 43 miliardi di dollari per comperare Sygenta e costruire così il maggiore produttore mondiale di pesticidi. In America hanno fatto acquisizioni a Hollywood e di recente hanno comprato il 25% della catena di alberghi Hilton per 6,5 miliardi di dollari.
Era inevitabile che, a un certo punto del suo impetuoso sviluppo, la Cina, Paese a forte dirigismo statale, si ponesse il problema di fare un salto di qualità nel suo modello industriale: non poteva continuare a basare la sua forza solo sui bassi salari, che tra l’altro ormai bassi non sono più. Le acquisizioni estere sono il modo più veloce per costruire una manifattura capace di competere nei settori avanzati: automobili, aerospazio, digitale, chimica, processori, robot. Il problema è che non c’è reciprocità, fare acquisizioni in Cina è difficile per i non cinesi, gli ostacoli ufficiali e nascosti sono moltissimi. Il problema, per l’Occidente, è capire se per avere reciprocità la strada migliore sia quella di chiudersi in maggiori protezioni. Ma qui entrano in scena la geopolitica e le elezioni: la risposta la stanno dando loro.