Libero, 27 ottobre 2016
Italiano inventa auto elettrica da 10mila euro. Deve farla in Cina
Elio Marioni è un genio. Nel 1978 ha fondato un’azienda che ora fattura 300 milioni e dà lavoro a 2500 persone nel mondo in 11 Paesi. Grazie all’intuizione della tecnologia sincrona nel mercato delle pompe, è diventato leader negli acquari e nell’industria del bianco rivoluzionando i dispositivi di gestione dei fluidi per lavatrici e lavastoviglie, garantendo una notevole riduzione dei costi, la semplificazione delle attività di montaggio e manutenzione, oltre ad offrire un importante risparmio energetico. Negli ultimi anni però, complice la crisi degli elettrodomestici, l’attenzione di Marioni, imprenditore toscano trapiantato a Dueville, Vicenza, si è concentrata sulle due e quattro ruote. E con i motori elettrici ha conquistato le bici e gli scooter. La sua Askoll, a fine 2015, è così risultata la marca più venduta fra gli scooter elettrici in Italia. E nei primi nove mesi di quest’anno il primato è stato confermato grazie ai 239 scooter venduti. Askoll però viaggia anche con le biciclette a pedalata assistita: il modello base è stato il più venduto lo scorso anno in Italia con 1200 pezzi. Mentre il 2016, merito anche dell’espansione all’estero, le vendite dovrebbero raggiungere quota 3.000 esemplari.
Il sogno di Marioni
però è un altro: diven-
tare il padre dell’auto
elettrica di massa. Da
tre anni sta lavorando
a un veicolo omologato per due persone, dal costo di 10mila euro più Iva, con un’autonomia di 200 chilometri e che si ricarica a casa. Il suo motto è: con 50 euro fai il pieno per un anno. Una rivoluzione. Costosa. L’imprenditore vicentino si è dovuto privare di uno stabilimento, Askoll sei, ceduto agli americani per 50 milioni a inizio 2016. Ha dovuto vendere un pezzo di se stesso perché nessuno lo ha aiutato nel progetto. Ha chiesto soldi in banca, niente. Ha inviato anche lettere a Renzi, niente. Ha esplorato l’ipotesi fondi d’investimento, ma in cambio volevano tutta l’azienda a prezzi da fame. Gli hanno bussato Bmw e Audi, ma volevano solo le componenti. Fino a che, girando per il mondo, ha incontrato il sindaco di una città cinese da 5 milioni di abitanti a 100 km a sud-est da Shanghai. Là gli hanno spalancato le porte, offrendogli una linea di credito da 150 milioni. A un patto però: i cinesi vogliono il 51% della società che dovrebbe, fra 12-18 mesi, mettere su strada Eva, ma pretendono anche per il trasferimento della produzione nella terra del Dragone. Marioni, che dall’8 al 13 novembre sarà all’Eicma di Milano con il suo prototipo, ci sta pensando seriamente. Qua gli hanno chiuso le porte in faccia, mentre in Asia gli farebbero un monumento. Da un lato vorrebbe rimanere in Italia: a Rovigo ha uno stabilimento di 16 mila mq che, integrando alcune lavorazioni esterne, arriverebbe a 30 mila auto l’anno, impiegando 300 persone. Ma i soldi? Chi li mette?
«È un Paese sfondato, che non ha più cognizione che cosa vuol dire fare economia... Gl imprenditori sono sconfortati dal sistema. Tutti mi dicono: il progetto è bello, ma in questo Paese non investo più un centesimo», ci spiega l’imprenditore di Dueville. «Pochi giorni fa abbiamo fatto un incontro di 400 imprenditori qua in azienda, c’era anche Vescovi, presidente degli industriali vicentini. Mi ha detto che oggi ci sarebbe Renzi a Vicenza per la campagna del Sì... ho parlato con Alessandra Moretti, che mi spiega: il premier ti può incontrare ma ha solo 5 minuti. Allora non ci vado: non è un argomento di trenta secondi da trattare in campagna elettorale. E infatti non ci va nemmeno Vescovi... In Italia non abbiamo capito che gli investimenti sono il motore dell’economia: 100 milioni significano 2mila posti di lavoro. Se poi l’investimento è corretto si genera ancora più ricchezza. I cinesi dicono: fai un investimento a lungo termine e lo fai nel mio Paese, poi io ti sostengo...»
Cosa le offrono i cinesi, oltre ai soldi? «Beh, innanzitutto avere come partner il governo di Pechino non è poco, lavorerei inoltre con la più grande azienda produttrice di batterie del Dragone e un fondo. Poi mi danno un terreno e per i primi tre anni avrò l’esenzione fiscale totale».
Però...
«Loro ritengono che i miei prodotti siano strategici per la Cina. La gestione comunque rimarrebbe mia, ho pur sempre 11 stabilimenti in giro per il mondo, 850 brevetti industriali e siamo leader mondiali nei motori per elettrodomestici: facciamo 300mila pezzi al giorno...»
Lei ha firmato una lettera d’intenti con Pechino: quanto tempo ha per scegliere?
«Entro fine anno devo dare una risposta: o trovo 150 milioni e allora rimango qua a realizzare la macchina elettrica, altrimenti sarò costretto a produrre in Cina. Mi spiacerebbe andare, ma qua ormai sono trattato come un oggetto solo da spremere».