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 2016  ottobre 27 Giovedì calendario

L’amaca di Michele Serra

I tristi fatti di Gorino hanno meritato, nel complesso, commenti rispettosi della miseria sociale e umana che li ha eruttati. Niente come la miseria – e la paura che la miseria genera – ha diritto di udienza, in democrazia: e la nostra democrazia è da tempo, in questo senso, in grave debito con i miserabili e gli impauriti, lasciati troppo soli, in balia di se stessi e dei ripugnanti agit-prop (visti in azione anche a Gorino) che costruiscono, su quelle catastrofi, le loro carriere politiche.
E dunque no, nessuno ha detto “razzisti” a quegli italiani senza più fiato né sguardo. Nessuno li ha accusati di essere altro da ciò che sono, una vacillante comunità di penultimi (vedi il bell’editoriale di Ezio Mauro) che non riesce a fare altro che accanirsi con gli ultimi. Quanto poi alla “popolarità” di quel respingimento, basta leggere l’orda di commenti gongolanti sul web per capire che ogni analisi critica, anche pallida, anche blanda, è “radical chic”. Non rimane, dunque, che sperare in qualche parroco, qualche prete di contado, di quelli che se gli dici “radical chic” ti stampano il crocifisso sul groppone, come don Camillo: forse solo loro, in questo momento, hanno la forza e l’autorevolezza di dire ai loro parrocchiani che qualcosa, nel Vangelo, sta scritto. Così come ci si domandò se c’è un giudice a Berlino: c’è un prete a Gorino?