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 2016  ottobre 26 Mercoledì calendario

Rubens uno di noi

Il 29 giugno del 1600, nel giorno del suo 23esimo compleanno, un forestiero alto, avvenente, riccioli biondi e occhi color dell’ambra, arrivava a Venezia. Sui capelli lunghi fino alle spalle indossava un cappello con la falda rovesciata, la frangia e una spilla d’oro. Si chiamava Pietro Paolo Rubens e non era un vanesio, bensì un giovane uomo già molto sicuro di sé. Eppure, davanti alla pala dell’Assunta che Tiziano aveva lasciato ai Frari, vacillò: in quel tripudio di putti che spingono in cielo Maria su un tappeto di nuvole, c’era già tutto quello che avrebbe fatto di lui il pittore barocco più celebre d’Europa.
A Venezia, dove passava il tempo a guardare con occhi famelici le tele di Tintoretto, Tiziano e Veronese, pieno di ammirazione per quell’esuberanza pittorica che, giurò, avrebbe fatta sua, incontrò Vincenzo Gonzaga, il duca di Mantova. Costui era uno splendido dissipatore di ricchezze, dedito alle avventure galanti, alle cacce, ai banchetti, al gioco d’azzardo e a quello della guerra dove andava vestito con abiti tempestati di gemme, accompagnato da buffoni e musici guidati da Claudio Monteverdi. Il duca ci mise un attimo a lasciarsi affascinare da quel colto giovane che diceva di essere venuto in Italia per «studiare i maestri antichi e moderni», e lo ingaggiò senz’indugio al suo servizio.
In quegli stessi giorni, a Roma, un altro pittore sconosciuto, il ventiseienne Michelangelo Merisi, che tutti chiamavano il Caravaggio, era al lavoro sul suo primo incarico pubblico: due quadri per la cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi, la grande occasione per farsi finalmente conoscere. Era anche lui molto sicuro di sé e per orgoglio dipinse il suo ritratto sul fondo del Martirio di San Matteo : un viso gonfio, segnato dalle rughe, incupito da capelli e barba neri. L’esatto contrario di quello di Rubens. Eppure, quando nel luglio 1601, il fiammingo è a Roma per studiare l’antico, è incantato da quei due quadri. Ne studia i contrasti di luce violenta, capisce subito che il nuovo viene proprio da quell’individuo losco. Ma invece di abbandonare la precedente infatuazione per i veneti, mette insieme gli uni e l’altro. E non solo. Nel 1602 arrivano a Roma anche Domenichino e Ludovico Carracci e, soprattutto, Annibale Carracci termina quel capolavoro assoluto della galleria di Palazzo Farnese che lascia tutti senza fiato. In quel momento a Roma convivevano tre stili diversi: il vecchio manierismo romano, il solido classicismo rinnovato dai bolognesi, e il nuovo caravaggismo. Era un pullulare di idee in aspra competizione e si sentiva già arrivare anche la brezza leggera del barocco. Bastava coglierne i segnali, per esempio nelle tele lasciate a Roma da un tale Federico Barocci, un marchigiano schivo che aveva abbandonato la capitale da ormai quarant’anni per tornare in provincia. Le sue composizioni affollate, gonfie e movimentate, dai colori chiari e sfumati, sedussero Rubens come già quelle dei veneti. E come le architetture di Genova, dove il fiammingo si recò con Vincenzo Gonzaga alla fine del 1605. Nella Serenissima lasciò strepitosi ritratti dei Doria, dei Pallavicino, degli Spinola. Anche Caravaggio, qualche mese prima, era passato da Genova, in fuga dopo una rissa. Lo proteggeva proprio Marcantonio Doria che gli fece un’offerta faraonica per restare. Ma Caravaggio, che pure era sul lastrico e senza casa, in capo a un mese era di nuovo a Roma.
Non era un pittore cortigiano come Rubens; lui amava la strada e le risse. Il fiammingo costruiva il suo successo viaggiando come un gentiluomo fra le corti di Spagna e Mantova, adulando con la sua pittura celebrativa i grandi del mondo; Caravaggio, invece, andava volontariamente verso la sua rovina passando da una provocazione all’altra prendendo a modello per le sue Madonne note prostitute romane.
E così, mentre Rubens, nello stesso 1606, dipingeva l’ Adorazione della Vergine per Santa Maria in Vallicella in un tripudio di putti che svolazzavano in cielo, Caravaggio terminava la Morte della Vergine, adagiata su un tavolaccio di uno stanzone spoglio. Due modi di vivere e di dipingere agli antipodi come il cielo dei cherubini e la terra delle prostitute.
Eppure sarà proprio Rubens a convincere il duca di Mantova a comprare quella scandalosa tela che i carmelitani avevano rimosso da Santa Maria della Scala. Non solo: prima di spedirla a Mantova volle rendere un grande omaggio a Caravaggio di nuovo in fuga da Roma, questa volta per aver commesso un omicidio. Allestì un’esposizione pubblica nel palazzo dell’ambasciatore di Vincenzo Gonzaga, Giovanni Magni, e tale fu la folla che accorse a vederla, che si dovette tenere aperta la casa per un’intera settimana.
Fu un modo clamoroso di riscattare la cattiva fama che perseguitava Caravaggio, il più talentuoso dei pittori. Parola di un fiammingo che per primo, tornato ad Anversa, lo tradì, diffondendo in Europa una pittura celebrativa, gonfia, encomiastica e «di Stato». Perché in amore gli opposti si attraggono.