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 2016  ottobre 25 Martedì calendario

Il regionalismo zoppo dello Stato italiano

A proposito di chiarimenti in corso sulla modifica della Costituzione, alcune domande hanno interessato le Regioni a Statuto speciale, con particolare riguardo al fatto che non si è colta l’occasione per abolirle, considerando il loro anacronismo. A proposito della Regione Sicilia, mi risulta che lo Statuto preveda che qualsiasi modifica debba essere sottoposta al giudizio dei cittadini attraverso un referendum. I quali cittadini si guarderebbero bene da approvarla. Le cose stanno effettivamente cosi?
Maria Pia Torretta

Cara Signora,
Le Regioni a Statuto speciale sono la risposta che i governi dettero alla crisi dello Stato nazionale dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Mentre il trattato di pace privava l’Italia di una parte dei suoi territori sulla frontiera occidentale e soprattutto sulla frontiera orientale, i primi governi dovettero affrontare altre crisi. Vienna aveva accettato l’accordo che Alcide De Gasperi aveva concluso a Parigi con il ministro degli Esteri austriaco Karl Gruber, ma reclamava per la Provincia di Bolzano l’autonomia che era stata promessa dal presidente del Consiglio italiano. In Sicilia esisteva un movimento separatista che sognava di aggiungere una stella alla bandiera degli Stati Uniti. La Valle d’Aosta aveva resistito al colpo di mano francese nell’ultima fase del conflitto, ma non intendeva rinunciare alla sua identità linguistica. In una fase storica in cui lo Stato italiano era ancora fortemente centralizzato, fu deciso che Bolzano, la Sicilia e la Valle d’Aosta avrebbero avuto uno Statuto speciale. Nel caso di Bolzano la stessa autonomia, per meglio agganciare il Sud Tirolo all’Italia, fu concessa anche al Trentino.
Naturalmente altre Regioni ritenevano di appartenere a una stessa categoria, e diritti analoghi, col passare del tempo, vennero dati alla Sardegna e al Friuli-Venezia Giulia. Forse sarebbe stato possibile rivedere l’intera questione nel momento in cui il sistema regionale, previsto dalla Costituzione, venne esteso all’intero territorio nazionale, ma le Regioni a Statuto speciale rimasero «speciali» e continuarono a godere di un particolare trattamento economico e fiscale.
Naturalmente non tutte fecero lo stesso uso di queste prerogative. Mentre alcune impiegavano il denaro per creare migliori condizioni di vita per i loro cittadini, altre hanno impiegato le loro risorse finanziarie per impinguare una numerosa classe dirigente e creare clientele elettorali. Se gli autori della riforma costituzionale su cui voteremo il 4 dicembre avessero approfittato dell’occasione per eliminare il trattamento speciale di cinque Regioni, avrebbero dovuto fare i conti con un blocco di oppositori a cui avrebbero aderito tutti i «privilegiati»; e quella del referendum sarebbe stata, sin dall’inizio, una partita persa. Questo non significa, cara Signora, che al nostro regionalismo zoppo sia necessario rassegnarsi. Ma la eliminazione della disparità fra le Regioni italiane sarà possibile soltanto se e quando riusciremo a convocare una nuova Assemblea costituente.