Affari & Finanza, 24 ottobre 2016
I signori delle «sofferenze», per un pugno di istituti un tesoro da 90 miliardi
A inizio ottobre, Credito Valtellinese completa un’operazione che diventerà sempre più comune fra i nostri istituti di credito. Per rafforzare il suo bilancio, Creval cede un pacchetto di “incagli”, ovvero prestiti che al momento della vendita apparivano di difficile restituzione, dal valore nominale di 104 euro. Il portafoglio, chiamato “Progetto Gavia”, è composto di crediti a 68 piccole e medie imprese, perlopiù lombarde, quasi tutti garantiti da immobili. L’acquirente è Credito Fondiario (Fonspa), una banca specializzata nell’acquisto e gestione di crediti in sofferenza. La società, di proprietà in parte del fondo speculativo Elliott, paga circa 42 milioni di euro, con l’obbiettivo di ottenere ritorni intorno al 10%, grazie ad una valorizzazione degli attivi che eviti la liquidazione, oppure al recupero di crediti e garanzie. I nsieme ad altre realtà poco conosciute al grande pubblico come Banca Ifis, Italfondiario e Prelios, Fonspa è uno dei protagonisti della silenziosa rivoluzione che sta attraversando il sistema bancario italiano. Le banche italiane hanno sui loro bilanci circa circa 350 miliardi di crediti deteriorati. Secondo i calcoli di Giuseppe Lusignani, vicepresidente della società di consulenza Prometeia, gli istituti di credito ne potrebbero vendere circa 90 miliardi lordi a società terze entro il 2019.
«La Banca Centrale Europea ha chiesto alle banche di mettere a punto una chiara strategia di gestione dei crediti deteriorati, che potrà prevedere anche operazioni di cessione. Ci sarà un efficientamento dei tempi di recupero», dice Lusignani.
La speranza dei regolatori è che gli acquisti da parte di questi nuovi attori aiutino le banche a sgomberare i propri bilanci da linee di credito concesse ad aziende “zombie”, in modo da liberare capitale per prestare soldi ad imprese più innovative. Le modalità di riscossione, sicuramente più aggressive, da parte di questi istituti specializzati rischiano però di provocare proteste fra i debitori, che fin qui hanno goduto di un atteggiamento più tollerante da parte delle banche.
«Quello dei crediti deteriorati è diventato un problema strutturale, che finisce per colpire azionisti e correntisti di banche sane e in crisi, dunque ben vengano le cessioni», dice Michela Sirtori, analista finanziario dell’associazione a tutela dei consumatori Altroconsumo. «Tuttavia, l’arrivo di operatori specializzati può tradursi in un aumento della pressione sui debitori».
Le due operazioni che più di tutte stanno facendo crollare la diga dei prestiti andati a male che siedono sui bilanci bancari italiani riguardano Monte dei Paschi di Siena e UniCredit.
«Si tratta di operazioni ‘Jumbo’, che richiedono spalle molto larghe dal lato degli acquirenti, oppure richiedono la creazione di consorzi che però includono complessità operative», dice Giovanni Bossi, amministratore delegato di Banca Ifis. «Di certo è essenziale sgomberare il tavolo da ogni tipo di incertezza riguardo i piani sui crediti deteriorati, altrimenti il rischio è che gli investitori continuino a tenersi alla larga da tutti gli istituti di credito».
Mps ha in programma di cedere tutte le sue “sofferenze”, ovvero prestiti che sicuramente non torneranno più indietro, all’interno di un piano di aumento di capitale da 5 miliardi. Il portafoglio, dal valore nominale di circa 28 miliardi, sarà ceduto a una cifra intorno ai 9-10 miliardi al Fondo Atlante, il veicolo salva-banche gestito dalla Quaestio Capital Management di Alessandro Penati, che ha scelto come consulente la stessa Fonspa.
Fonspa provvederà a impacchettare i prestiti in una cartolarizzazione, dividendola poi in tre tranche. La più sicura verrà coperta da una garanzia statale (Gacs) che la renderà simile a un titolo di Stato. Il “mezzanino” sarà tenuto dallo stesso Fondo Atlante, mentre la porzione più rischiosa, la tranche “junior” verrà distribuita agli azionisti. Il successo dell’operazione è legato alla capacità di recupero e valorizzazione dei crediti andati a male. Gli investitori, nelle cartolarizzazioni, ricevono infatti pagamenti esclusivamente sulla base del denaro recuperato. Per farlo, Quaestio si affiderà a ditte specializzate che agiranno da “servicer”, gestendo le pratiche con i debitori.
Uno dei rischi del progetto sta proprio nella scelta dei servicer. Quaestio intendeva inizialmente prendere un numero molto elevato di aziende per massimizzare la concorrenza, aumentando così l’efficienza del recupero e riducendo le commissioni. Il problema, però, è che non tutte le società hanno la stessa capacità. Ognuna di esse ha un determinato rating, che dipende da quanto fatto in passato.
La stessa cartolarizzazione – in particolare, quanto grandi possono essere le tranche più sicure – dipende dai rating dei servicer. Poiché ci sono poche aziende capaci di dimostrare di aver fatto questo lavoro bene in passato, soprattutto su volumi grossi, Quaestio potrebbe essere costretta a ridurre il numero di società con cui lavorare.
L’altra operazione su cui sono puntati gli occhi del settore riguarda UniCredit. La banca guidata da Jean-Pierre Mustier è in procinto di varare un aumento di capitale che, secondo un’anticipazione di Repubblica, potrebbe arrivare a 13 miliardi.
Una parte importante di questo progetto riguarda lo scorporo di un portafoglio di crediti deteriorati, del valore nominale di circa 20 miliardi. Unicredit non sembra intenzionata a cedere l’intero pacchetto, perché questo la obbligherebbe a svalutare anche il resto dei crediti deteriorati a bilancio a seconda del prezzo di vendita. Piuttosto, l’idea sarebbe quella di far entrare un partner di minoranza con una quota di circa il 20-25 per cento. Italfondiario, di proprietà di Fortress, è favorita rispetto a altri operatori come Pimco ed Apollo.
«Il nodo del prezzo di cessione è fondamentale», dice Marina Brogi, Vicepreside della Facoltà di Economia dell’Università di Roma La Sapienza. «Resta da capire bene come le cessioni verranno trattate nei modelli interni delle banche cessionarie. Anche da questo dipenderà la loro affidabilità».
A queste due operazioni se ne affiancano una serie di più piccole. Tra le più interessanti c’è quella che Carige ha condotto nelle scorse settimane, cedendo a Prelios un portafoglio da 900 milioni.
L’intenzione del gruppo, di proprietà di azionisti come Intesa Sanpaolo, Uni-Credit e Pirelli, è quella di replicare uno schema già utilizzato con la Banca Popolare di Bari e che fa ampio uso della “Gacs”.
La banca pugliese ha venduto un pacchetto di oltre 21.000 crediti deteriorati, estesi a 915 debitori per lo più residenti in Puglia, Calabria e Sicilia, a un prezzo di 150 milioni, a fronte di un valore nominale di 500 milioni. Il portafoglio, una volta cartolarizzato, è stato diviso in una tranche senior da 126,5 milioni, un mezzanino di 14 milioni e un segmento junior di 10 milioni. La banca ha poi deciso di riacquistare la parte più sicura che, grazie alla “Gacs” è considerata senza rischio e non consuma pertanto capitale.
Questo schema ingegnoso ha permesso alla banca di vendere i suoi crediti a un prezzo sensibilmente più alto rispetto a quello che era stato offerto prima della creazione della garanzia. Allo stesso tempo, l’operazione ha consentito alla banca di tenere praticamente gli stessi asset a libro, spostando tuttavia parte del rischio sul contribuente.
La rivoluzione dei crediti deteriorati è un passaggio praticamente obbligato per le nostre banche. Se ben gestita, potrà contribuire a rafforzare il nostro sistema del credito e a far ripartire la crescita economica. Ma, come sempre, il diavolo è nei dettagli: starà al governo vigilare perché debitori e contribuenti non paghino alla fine un prezzo eccessivo per questo cambiamento.