Corriere della Sera, 24 ottobre 2016
Le acrobazie di Kádár. Il comunismo alla gulash
In casa di un sacerdote ho conosciuto una badante ungherese, che sosteneva che János Kádár fu un salvatore della patria. Ma non fu forse fortemente odiato dal popolo ungherese, per essere stato, dopo il 1956, un protagonista della cosiddetta «normalizzazione», costata migliaia di esecuzioni?
Piero Campomenosi
Caro Campomenosi,
János Kádár, nato nel 1912 a Fiume (città ungherese sino alla fine della Grande guerra) e morto a Budapest nel 1989, non fu un «salvatore della patria»; ma sarà ricordato, nella storia del marxismo, come l’inventore del «comunismo alla gulash», dal nome di un piatto molto piccante e popolare nel suo Paese. Quando scoppiò la rivoluzione del 1956, sembrò sostenere Imre Nagy, l’uomo politico che cercò di venire incontro alle istanze degli insorti e minacciò di denunciare il Patto di Varsavia. Ma non appena capì che i sovietici avrebbero stroncato la rivoluzione con una seconda invasione, abbandonò Nagy per tornare all’ovile e assumere la direzione del partito. La scelta fu opportunista, ma gli permise di restare a galla, di sfuggire alle rappresaglie sovietiche e di assumere la presidenza del Consiglio nel 1961.
Da quel momento cominciò a correggere il sistema con piccole decisioni che facevano qualche crepa nella ortodossia comunista di marca sovietica. Promulgò una amnistia per coloro che avevano partecipato ai moti del 1956. Favorì qualche relazione commerciale con Paesi stranieri. Autorizzò le piccole imprese. Consentì l’apertura di negozi e piccole aziende artigianali. Garantì ai suoi connazionali più mobilità di quanta ne avessero gli altri Paesi del Patto di Varsavia. I sovietici stettero a guardare senza sollevare troppi ostacoli. Non volevano un’altra rivoluzione ungherese e sapevano che János Kádár non avrebbe mai messo in discussione ciò che maggiormente interessava a Mosca: l’ossequio formale alla ideologia, l’appartenenza al Patto di Varsavia e le professioni di lealtà nei momenti cruciali, come l’invasione della Cecoslovacchia nel 1968.
Grazie a questa «via ungherese al comunismo», il Paese di János Kádár era, nella seconda metà degli anni Ottanta, il più gorbacioviano dei satelliti dell’Urss. Ce ne accorgemmo in particolare quando, nell’agosto del 1989, l’Ungheria permise ai turisti della Repubblica democratica tedesca di attraversare la frontiera con l’Austria per cercare rifugio nella Germania occidentale. János Kádár, in quei giorni, non era più di questo mondo. Era morto in un ospedale di Budapest nello stesso giorno (16 giugno 1989) in cui tutta la città dava una solenne sepoltura a Imre Nagy, l’uomo che aveva capito la rivoluzione e aveva cercato di assecondarne gli obiettivi.