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 2016  ottobre 24 Lunedì calendario

Trent’anni di amicizia con Orson Welles

IN ORIGINALE si chiamava This is Orson Welles, e aveva in copertina il faccione barbuto del regista di Quarto potere. Era il 1992 e il libro (bello cicciotto) riportava trent’anni di chiacchiere a ruota libera tra Welles e Peter Bogdanovich sul cinema e la vita. Ora, nella edizione italiana che esce preso il Saggiatore, ha in copertina la faccia di Welles poco più che ragazzo (con tanto di frivolo papillon), si intitola Il cinema secondo Orson Welles ed è arricchito da una prefazione di Peter Bogdanovich molto interessante – anche se il regista di L’ultimo spettacolo si assume, a mio giudizio, troppi meriti, e ha fatto troppe promesse a proposito e in nome di Welles: tra cui quella di finire The other side of the wind, il suo King Lear, il film maledetto e mai finito, tra tanti film maledetti e non finiti della carriera tumultuosa e ineguale del regista che Cocteau ha descritto come “un gigante con il volto di un bambino”,”un cane che si è liberato dalle catene ed è corso a rifugiarsi nell’aiuola”, un “vivace perdigiorno, un folle saggio. una solitudine circondata di umanità”. Insomma, un ossimoro vivente, che Bogdanovich insegue sul modello dell’intervista di Truffaut a Hitchcock, da Quarto potere a F for Fake e ai mai finiti, con molto spazio per la biografia e la vita personale di Welles, partecipe delle sue ansie e pronto a mentire per compiacerlo.
Ma la cosa migliore, se non la più utile, della prefazione, è la messa a punto di una serie di episodi della carriera di Welles, come la celebre diatriba critica circa Citizen Kane, attaccato da un importante critico come Pauline Kael per essersi Orson, secondo la perfida signora, presi dei meriti di cosceneggiatore che in realtà spettavano solo a Joe Mankiewicz.
Solo uno dei tanti spiacevoli episodi della storia di Welles, che vede passare sotto i suoi occhi falsari e imbroglioni, produttori iraniani di cui si perdono le tracce e incendi di magazzini cinematografici, film iniziati e perduti e disastri critici (ultimo, quello che ha retrocesso Quarto potere in una graduatoria stabilita dai critici invitati da Sight and Sound, dal primo posto al secondo, a favore di La donna che visse due volte). E, per fortuna, ha visto passare anche donne stupende, per carattere e bellezza, come Oja Kodar, la poliedrica artista, scultrice, sceneggiatrice, attrice e anche regista, che non volle mai diventare la signora Welles (troppe ce n’erano state) e che per venticinque anni fu la sua compagna, complice e collaboratrice. Bogdanovich, la cui carriera nel frattempo segna il passo, in seguito ad alcuni eventi tragici come l’assassinio della sua compagna Dorothy Stratten, si descrive a volte come il ranocchio del celebre apologo raccontato da Welles, in cui Orson è lo scorpione che non può tradire la sua natura, e “deve” pungere, o come il principe Henry nel suo rapporto con Falstaff – che, di fatto, si allontana dal maestro e lo tradisce. Sempre parlando di Oja con un calore che farebbe pensare a un innamoramento.