Libero, 23 ottobre 2016
La ministra anti-islam che esalta vino e maiale
Ad aprile scorso l’allora neo-ministra dell’Immigrazione norvegese Sylvi Listhaug si era ricoperta di ridicolo così scrissero la maggior parte dei media quando imbacuccata in una specie di muta di sopravvivenza arancione si era buttata nel mar Egeo al largo dell’isola di Lesbo per provare quello che provano gli immigrati in mare. «Non ci si può mettere nella stessa situazione dei rifugiati», disse, «ma puoi vedere la loro prospettiva quanto ti ritrovi immerso nell’acqua».
Pochi mesi dopo il punto di vista della Listhaug è radicalmente cambiato. O meglio la 38enne esponente del Progess party (centrodestra) si è accorta dell’inutilità dell’esperienza fatta, del tutto fasulla e ridicola, ed è tornata a far parlare di sé stavolta per un limpido messaggio postato su facebook che vede la questione non più dagli occhi terrorizzati del rifugiato alla deriva bensì da quelli del Paese che lo riceve, nel qual caso la Norvegia che la bionda Listhaug rappresenta. «Credo che quelli che vengono da noi debbano adattarsi alla nostra società», ha scritto, «qui si mangia carne di maiale, si bevono alcolici e si mostra la faccia. Quando vieni in Norvegia è necessario che rispetti i valori, le leggi e i regolamenti norvegesi». Parole che non avrebbero bisogno di alcun commento, perché esprimono con un esempio semplice e molto comprensibile un punto di vista talmente condivisibile che ogni spiegazione sarebbe inutile. Un commento, uno dei tanti (20mila i like), al post espone l’evidenza del concetto ancora meglio: «Provate a fare il contrario: andate in un Paese dei loro a testa scoperta a mangiare maiale e a bere whisky. E vedete cose succede». Eppure in Norvegia, Paese che fa del politicamente corretto una sorta di religione assoluta, c’è stato chi l’ha presa male, chi si è sentito ferito nell’orgoglio di democratico tollerante o di fervente musulmano. C’è stato addirittura chi ha chiesto le dimissioni della ministra, come il criminologo Omar Gilani Syed, che lavora per l’integrazione dei rifugiati e che su il giornale Aftenposten ha scritto che «se la Listhaug non comprende la complessità del problema dovrebbe rivedere la sua posizione al governo». «È questa l’ennesima dichiarazione populista con l’obiettivo di raccogliere il maggior numero possibile di voti?» si è chiesto il criminologo. «Per quanto mi riguarda, io provo paura e disagio al pensiero di un ministro di integrazione che nasconde i veri problemi sotto il tappeto e riduce l’intero dibattito sull’integrazione alla carne di maiale» si è infine risposto. Mentre l’esponente del partito laburista Zaineb AlSamarai l’accusa di essere il ministro sbagliato al dicastero sbagliato: «Se tu sei ministro dell’integrazione, devi provare a integrare. Non spaventare le persone», ha scritto sul Dagbladet. Ma non sono solo i musulmani o i personaggi locali originari del mondo islamico ad essersi risentiti del post della Listhaug. C’è anche Ann-Magritt Austena, capo dell’Organizzazione norvegese per i Richiedenti asilo, che si dice indignate e sostiene che la Listhaug abbia semplificato eccessivamente il problema «se pensa che come ci si veste, cosa si mangia e si beve siano le principali ragioni per cui le donne norvegesi non riescono a integrarsi».
A nulla è valso il fatto che la Listhaug insieme al post avesse anche linkato un articolo del Dagbladet nel quale spiega meglio la sua posizione. E nel quale dice in sostanza che non è la nostra società che deve adattarsi agli immigrati, ma loro a noi se vogliono vivere qui: «È importante per loro che siamo chiari fin da subito», ha detto. Ha poi aggiunto che «la cosa più importante è che coloro che vengono qui imparino la lingua e trovino un lavoro, in modo che possano diventare autosufficienti». E il problema non è solo per quelli che arrivano e stanno arrivando, ma anche per quelli che sono qui, dice la Listhaug, e che proprio non ce la fanno ad adattarsi: «Se vai a un colloquio di lavoro non ci vai con i pantaloni della tuta e il cappellino in testa. Nemmeno con il niqab o burqa», ha continuato Listhaug. «Nel nostro Paese l’alcool è una merce legale, quindi se si lavora in un bar o in un ristorante non è possibile rifiutarsi di servirlo». Se non ti integri, ha spiegato ancora la Listhaug, non lavori. E se non lavori non puoi pretendere di essere mantenuto dagli altri che lo fanno. Più chiaro di così.