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 2016  ottobre 23 Domenica calendario

Il collezionista. Shchukin, l’uomo che portò in Russia l’arte «proibita»

PARIGI Era il “collezionista russo”. Una rarità a fine Ottocento. E Parigi nella primavera del 1897 gli cambiò la vita. Ci arrivava in treno da Mosca, in prima classe, da uomo ricco e privilegiato, ma il viaggio era pur sempre lungo. Sergei Shchukin però non perdeva tempo. Dalla stazione si dirigeva subito negli studi dei pittori, voleva vedere tutto: non trattava, comprava quello che gli piaceva. Fu il primo in Russia ad avere un Cézanne. Piccolo di statura, con una gran testa, parlava francese, ma era balbuziente. Il suo colpo d’occhio però era infallibile. Guardava, capiva, intuiva. Finì anche nello studio povero e precario di un immigrato spagnolo sconosciuto. Si chiamava Pablo. Non solo Picasso gli piacque, ma vide qualcosa che agli altri era ancora invisibile. Un’arte nuova, una svolta, non una semplice trasgressione. E ne fu posseduto: arrivò ad avere più Picassi di Picasso. Shchukin in meno di vent’anni dal 1895 al 1914 acquistò 258 quadri: 8 Cézanne, 16 Derain, 16 Gauguin, 13 Monet, 50 Picasso, 38 Matisse, 7 Rousseau, 4 Van Gogh. Non pretendeva di capire stili e tendenze, periodi blu o rossi, davanti a certe perplessità, pensava di essere lui il somaro. E dava ragione all’artista: «Un giorno sarà lei a vincere».Previsione giusta. Quasi un secolo dopo i suoi artisti trionfano ancora. E lui con loro.Le icone dell’arte moderna. La collezione Shchukin è una mostra aperta alla Fon- dazione Vuitton (fino al 20 febbraio 2017) con 160 capolavori. È la prima volta che la collezione (smembrata dalla storia) e che Stalin voleva bruciare perché «borghese e degenerata» esce dalla Russia. Grazie anche all’impegno di Suzanne Pagé, attuale direttrice della Fondazione, donna che ha un rapporto quasi carnale con l’arte. «I quadri mi parlano. Di Shchukin ammiro soprattutto la sua voglia di condividere il piacere della pittura con gli altri». Già, ma chi era questo mercante dell’est che mise insieme una collezione di impressionisti da favola quando nemmeno il Louvre li voleva?Nato a Mosca nel 1854, in una famiglia di mercanti tessili, terzo di dieci figli, si fa dare l’impresa dal padre.È un uomo d’affari potente, tanto che lo soprannominano “ministro del commercio russo”. Come il resto della famiglia acquista pittura classica, tappeti orientali, oggetti di pregio. Nel 1884 sposa Lydia Grigorievna, una bellissima donna, nel 1890 con i quattro figli, Ivan, Ekaterina e i due gemelli Sergei e Grigori, si trasferiscono a palazzo Trubetzkoy, antica dimora del governatore di Mosca. Il colpo di fulmine nel 1898 quando a Parigi si innamora del suo primo Monet, tra il 1902-1904 acquista le prime opere di Degas, Cézanne e Gauguin. Tra il 1905 e 1911 vari colpi al cuore: suo figlio Sergei si annega nella Moskova, un anno dopo la moglie Lydia muore di tumore, il fratello Ivan, che aveva tentato di fare il pittore, va in bancarotta e si suicida, nel 1910 Grigori, l’altro gemello, si spara a casa. Ma i dolori privati non fermano Shchukin: apre il palazzo a tutti, rende visibile la sua galleria di quadri. Non solo, domanda a Matisse delle tavole decorative La danza e La musica da posizionare sopra la scalinata e lo invita a Mosca: cosi potrà sistemare personalmente le sue opera nel Palazzo. L’esposizione è uno scandalo per la Russia, troppe parti intime esibite, troppi corpi nudi, troppa sessualità. Shchukin per la prima volta arretra: chiama un pittore russo per coprire con il colore quelle parti così scandalose. Però non rinuncia all’idea di comprare i pannelli. Matisse, arrivato a Mosca, non dice niente e mette 21 tele nel salone rosa del Palazzo Trubetzkoy.Nel 1912 esplode la passione di Shchukin per il periodo blu di Picasso. Compra 30 opere e ammette: «È come una droga per me». Nel 1914 Shchukin si risposa con Nadejda Mirotvorsteva, una signora divorziata di 40 anni, da cui avrà una figlia, Irina. Il mondo entra in guerra, nel 1917 in Russia scoppia la rivoluzione, il collezionista capitalista diventa bolscevico pur di non perdere le sue opere, entra a far parte di una commissione che dovrà tramutare il Cremlino in un palazzo della Arti. Ma è solo un’illusione. Nel 1918 Lenin firma il decreto che rende la Galleria Shchukin non più privata, ma del popolo: 274 opere sono nazionalizzate. Nel ’28 la collezione finisce nell’antico palazzo Morozov. Stalin intanto giudica quella collezione troppo borghese e inutile, meglio farne un rogo. Le opere si dividono: un po’ prendono la strada della Siberia, altre vanno a Leningrado. Shchukin capisce che non è più aria, e fugge con la famiglia a Parigi. Ha passaporti falsi e dentro la bambola di Irina sono cuciti i diamanti con cui ha tramutato i contanti.Nel ‘36 il grande visionario Shchukin muore a Parigi, a 82 anni. Nel ‘48 tutta la sua eredità si divide: un po’ nel museo statale delle Belle arti a Mosca, un po’ all’Ermitage. È Stalin a firmare il decreto. Ma firma anche il divieto di mostrare quella collezione. Scomparirà e svanirà da tutti i cataloghi e i musei russi. Bisognerà aspettare il disgelo alla fine degli anni ’50 affinché l’arte moderna occidentale trovi di nuovo diritto di cittadinanza in Russia. E bisognerà aspettare l’accordo tra i due presidenti (Hollande e Putin) e il finanziamento di Bernard Arnault per la Fondazione Vuitton per portare tutta la collezione a Parigi. E illuminare la vita di un collezionista che fece la sua rivoluzione mentre la storia ne faceva un’altra.