Libero, 22 ottobre 2016
Veneto ancora in lutto per la truffa del 1866
Oggi è un giorno triste per il Veneto: 150 anni fa, con un plebiscito truffa, l’ex Serenissima più la provincia di Mantova passarono all’Italia. In molte località, per esempio nella padovana Cittadella, sarà a mezz’asta la bandiera del Leone di San Marco. E oggi davanti alla basilica del santo evangelista a Venezia si ritroveranno migliaia di indipendentisti per ricordare una cultura, un’identità e una nazione che 150 anni d’Italia non sono riusciti a eliminare.
Ernesto Galli della Loggia ieri sul Corriere della Sera si lamentava di queste manifestazioni e criticava contestualmente il governo per aver lasciato campo libero ai secessionisti. Il professore editorialista da una parte ha ragione: uno Stato che si rispetti dovrebbe tutelare sempre la sua storia, peccato che un secolo e mezzo sotto il tricolore non possano cancellare i quasi mille anni della Serenissima. In fondo i veneti sono un popolo diverso dagli italiani, con i loro pregi e i loro difetti. Ma soprattutto hanno diritto a conoscere la verità. La storiografia ufficiale, ovvero i testi che si studiano nelle scuole, racconta l’annessione del 1866 sostenendo che «tutto si svolse con mirabile ordine e fra universali manifestazioni di gioia». Col cavolo. Bisogna capire innanzitutto il contesto storico: in Europa è in atto uno scontro fra grandi potenze, la Francia contro Austria e Prussia. Nel mezzo l’Italia, fresca di unità (1860-1861), punta a chiudere il cerchio con Veneto, Friuli e Mantova. Perché? Il motivo è banalmente economico: il Nordest non ha debiti, anzi vanta avanzi di bilancio. Il Regno d’Italia invece è oberato di cambiali, frutto di un’onerosa campagna acquisti (Lombardia, Toscana, Centro e Sud Italia). Nell’estate 1866 si combatte così la cosiddetta Terza guerra d’indipendenza, uno scontro non proprio positivo per l’Italia. A tal punto che a Lissa la flotta austriaca e veneta sconfisse sonoramente quella sabauda con affondamento finale della fregata corazzata «Re d’Italia». Fu detto: «Uomini di ferro su navi di legno vinsero contro navi di ferro con equipaggi di legno».
Le potenze europee intanto si stanno mettendo d’accordo: l’Austria ha subito il colpo, ma non può uscire con disonore dopo l’armistizio. I contatti fra le cancellerie sono febbrili: l’ambasciatore asburgico a Parigi, Metternich, scrive al suo ministro degli Esteri Mensdorff-Pouilly il 3 agosto 1866: potremmo arrivare «all’indipendenza della Venezia sotto un governo autonomo com’era la vecchia Repubblica». Un trattato internazionale, siglato il 23 agosto a Praga, prevede però il passaggio del Veneto alla Francia, ma nel trattato di pace di Vienna fra Italia e Austria del 3 ottobre si parla testualmente di «sotto riserva del consenso delle popolazioni debitamente consultate». Il plebiscito è fissato per il 21-22 ottobre.
Napoleone III però ha già deciso di dare il Veneto all’Italia in funzione anti-austriaca. Infatti il 19 ottobre, sulla Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia, appare un messaggio «...Il Governo del Re saluta Venezia esultante mentre la bandiera nazionale italiana sventola dalle antenne di Piazza San Marco simbolo di Venezia restituita all’Italia... Ricasoli».
È tutto raccontato nel libro La grande truffa, un’opera ricca di documenti recuperati dall’autore Ettore Beggiato. I veneti quindi vanno a votare il 21-22 ottobre quando tutto è già stato deciso: il Veneto è già italiano.
Ma il peggio doveva ancora capitare. Come si votò? A Malo, nel vicentino, «le autorità comunali avevano preparato e distribuito dei biglietti col SÌ e col NO di colore diverso; inoltre ogni elettore presentandosi ai componenti del seggio pronunciava il proprio nome e consegnava il biglietto al presidente che lo depositava nell’urna». Chi votava No insomma sarebbe stato preso di mira dai Savoia. Le minacce erano apparse anche contro il clero: «Ricordino essi (i Parroci e i Cooperatori dei ns. villaggi) che ove in alcuna parrocchia questo voto non fosse sì aperto, sì pieno quale lo esige l’onore delle Venezie e dell’Italia, sarebbe assai difficile non farne mallevadrice la suddetta influenza clericale, e contenere l’offeso sentimento nazionale dal prendere contro i preti di quelle parrocchie qualche pubblica e dolorosa soddisfazione».
Ai seggi si presentò, escluse ovviamente le donne, appena il 30% degli aventi diritto: i NO furono solo 69. Una cifra irrealistica... Ma a Firenze, capitale del Regno italico, si iniziò a festeggiare. Ruggiero Bonghi, napoletano e ministro della Pubblica istruzione dal 1874 al 1876, ha spiegato: «C’è un unico territorio che, quando viene annesso, ha il suo bravo bilancio in attivo: il Veneto. Iddio che ama, com’ella sa, gli spensierati, ci dava la Venezia: il cui bilancio, presentando un’entrata di 79 milioni di lire ed un’uscita di circa 54 per la sua interna amministrazione ed il proprio debito, ci dava un avanzo di 25 milioni, che scemavano d’altrettanto il peso della spesa comune in tutta Italia».
Una filastrocca racconta bene il clima nel Veneto post-annessione: «Co San Marco comandava / se disnava e se senava; / soto Franza, brava gente, / se disnava solamente; / soto casa de Lorena/nosedisnaenosesena;/ soto casa de Savoia / de magnar te ga voja!». Il Veneto fu usato per ripagare i debiti italici. A colpi di aumenti di tasse, che gettarono nella miseria la gente. Dal 1870 iniziò così un esodo biblico verso l’estero. Una fuga da uno Stato che ancora oggi non è amato.