la Repubblica, 21 ottobre 2016
L’amaca di Michele Serra
SI DÀ un’occhiata distratta e malinconica ai cascami dei vari processi relativi alle serate di Arcore, che la sadica perseveranza della giustizia ancora ci rifila; e ci si rende conto, più che altro, che sembrano passati secoli da quelle storielle da generoni (e generine) milanesi, da quel tran tran sessuale così poco erotico e così tanto impiegatizio, da quelle facce tumefatte dal bisturi. Un De Gasperi o perfino un Saragat in bianco e nero, per non dire di un Pertini, ci risultano più “moderni” e a noi prossimi di quei fine Novanta e primi Duemila così colorati, stentorei e paurosamente datati; la Hepburn in Vespa, con o senza Gregory Peck sul sellino posteriore, sorpassa con un sorriso lieve l’ingorgo di olgettine con la Smart e la Mini; e quanto a dissipatezza e decadenza, se è quella che vi tenta, ce n’era già molta di più nella Dolce Vita di Fellini (1960) che nelle cene eleganti del Berlusca.
C’è poco da fare, la millantata seconda Repubblica è stata solamente la coda ingloriosa della prima. Ci fosse stato qualcosa di rivoluzionario e di nuovissimo ne rimarrebbe qualche traccia, almeno estetica. E se lo diciamo, non è certo per vantarci: furono i nostri padri, non noi, a fare le cose migliori in questo paese e per questo paese.