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 2016  ottobre 21 Venerdì calendario

«Così molte università fregano i loro studenti»

Le rivelazioni raccolte da Libero dell’imprenditore bergamasco Giovanni Bonati, che paga le università per ottenere i curriculum dei giovani da assumere, hanno provocato più d’una presa di posizione. «In Statale il nostro servizio di placement online», ci fa sapere Gianluca Vago, rettore dell’ateneo milanese, «viene utilizzato da oltre 6mila aziende che in meno di 24 ore dall’accreditamento hanno accesso in modo completamente gratuito al nostro database dei curricula e anche ad eventuali servizi aggiuntivi, come le preselezioni su richiesta». I numeri in gioco sono notevoli. «Parliamo
 di oltre 40 mila curricula
 consultati
 nel 2016 e di
 circa 4 mila 
annunci di la-
voro e stage 
pubblicati dalle aziende», puntualizza Vago. 
Siamo sicuri che il professor Vago abbia ragione. Ma un suo collega illustre, Michele Tiraboschi, ordinario di diritto del lavoro all’Università di Modena e Reggio ed erede indiscusso di Marco Biagi, conferma la denuncia di Libero. «È una cosa vergognosa», racconta, «in un Paese con la disoccupazione giovanile al 40 per cento e dove i ragazzi non hanno opportunità, i curriculum vitae dei giovani vengono nascosti, molti finiscono nella banca dati di Alma Laurea che è una Srl e li vende a pagamento alle aziende. Poi un’impresa che cerchi giovani da assumere fatica a trovarli». Non accade dappertutto, ma parecchi atenei tricolori si comportano così. «Accade in tutta Italia, anche se qualche università è più seria, qualche altra conosce la legge e la rispetta, altre la ignorano del tutto». Legge? Quale? «Il Collegato lavoro del 2010, prendendo atto che la legge Biagi consente alle università e alle scuole di fare il collocamento dei propri studenti, le ha obbligate a rendere accessibile gratuitamente sul proprio sito i curriculum di laureati e diplomati per almeno un anno». 
Purtroppo, tranne poche eccezioni, questo non accade. «Sui siti delle università c’è poco o nulla», aggiunge Tiraboschi, «e trovo molto grave che ci sia qualcuno che lucra su questo, facendosi pagare. Al momento della laurea i ragazzi firmano un documento in cui autorizzano Alma Laurea ad usare il loro curriculum. Non sanno che potrebbero rifiutarsi di sottoscriverlo. Alma Laurea (che fa capo a un consorzio universitario, ndr) raccoglie questi curriculum vitae e poi ne offre dei pacchetti alle aziende. A pagamento. Facendoli diventare un oggetto di business sulla pelle dei più poveri». 
«Il nostro è un Paese strano», conclude Tiraboschi, «continuiamo a pensare che il lavoro si possa creare per legge. Prima con la Fornero, ora con il Jobs Act. Mentre basterebbe far funzionare bene quel che c’è. A cominciare proprio dalla pubblicazione dei curriculum per i neolaureati».