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 2016  ottobre 21 Venerdì calendario

Il noce, albero dei sabba
, può sfiorare un secolo in bellezza

Mai ci sono stato, ma vorrei tanto una volta visitare le foreste di Arslanbob, tra gli altipiani del Kirghizistan, gli ultimissimi boschi puri di noce rimasti sulla faccia della Terra, con piante enormi e maestose che contano, pare, anche mille anni d’età. Un tempo dovevano essere ben più sconfinati, a partire dalle colline himalayane fin quasi ai «nostri» Carpazi, all’Anatolia e all’Iran: si racconta che il noce (Juglans regia) sia stato portato per la prima volta in Grecia proprio dai re persiani, chiamato non per nulla karya basilica, noce regale, probabilmente all’origine anche del nome attuale della specie. Stando alla sempre affascinante mitologia greca fu Caria, principessa della Laconia, a venire trasformata in un noce dopo la morte per opera dell’innamorato Dioniso. Per lei il suo popolo innalzò un tempio il cui frontone era sorretto da statue scolpite nel legno di quell’albero: secondo alcuni (non certo seguaci di Vitruvio, che riporta a proposito una versione del tutto diversa) potrebbero essere nate così le famose cariatidi...

Tra leggenda e realtà

Da sempre il noce è legato a culti pagani e avvolto dalle più oscure leggende. D’altronde l’eccesso di tannini non lo rende certo un albero molto ospitale e, se forse esagerava Plinio quando sconsigliava di riposare sotto le sue chiome (peraltro così fresche e piacevoli), può capitare talvolta che nei suoi immediati paraggi altre piante poco a poco deperiscano. Albero dei sabba per eccellenza, il noce viene citato in moltissimi processi per stregoneria, specialmente nel Centro e nel Sud Italia, e contro di lui furono condotte in epoca cristiana vere e proprie crociate botaniche. Celebre fu soprattutto quello che cresceva a Benevento, venerato già dai longobardi, raso al suolo per volere della Chiesa e risorto poco dopo a palese dimostrazione, si diceva, della sua demoniaca natura. Storie che oggi, dopo secoli di revisionismo che hanno fatto del noce addirittura l’albero dedicato a San Giovanni, trovano una loro concreta corrispondenza soltanto più nei numerosi noceti che ancora crescono in terra di Liburia e nei dintorni di Sorrento in particolare, dove la varietà più coltivata è per l’appunto il J.r. Sorrento. 

Le varietà

Da noi, nel freddo Piemonte, sono piuttosto altre le varietà consigliate: una visita al vivaio di Guido Bassi in quel di Cuneo può certamente chiarire le idee. Figlio d’arte (suo padre, Raffaele Bassi, è stato direttore del Centro di Sperimentazione per la Frutticoltura «Spinetta» qui nel cuneese), propone nel suo catalogo alcune selezioni locali, oltre a numerose californiane ed anche francesi, come il famoso J.r. «Franquette», piantatissimo nel Perigord, vera patria dei noci d’oltralpe, e così tardivo da risentire poco delle eventuali gelate di fine inverno. Dalle varietà tipiche della Granda, cosiddette «cocco» per le dimensioni decisamente inusuali delle noci (ma alle quali non corrisponde purtroppo un sapore altrettanto memorabile), al J.r. «Chandler», vigoroso e resistente anche a terreni poco fertili e pesanti, o al J.r. «Hartley», rapido nell’andare a frutto, già dal terzo anno di età, e poco sensibile, come d’altronde molte selezioni californiane, alla terribile batteriosi che ormai da decenni ha infestato i nostri noci. Per chi volesse provare, consiglio di prenotare le piante con un larghissimo anticipo. L’innesto del noce è infatti tra i più complicati: l’attecchimento è purtroppo modesto e le piante in vendita, se di qualità, non sono mai molte...
Il noce ama terreni freschi, ben drenati e calcarei. All’impianto è bene scegliere esemplari con al massimo due anni d’età, perché oltre la radice fittonante può rendere rischioso il trapianto, avendo cura di non sprofondare mai la pianta: dieci centimetri di terriccio sulle radici sono più che sufficienti. Spesso la fioritura maschile e quella femminile sono sfasate nel tempo: occorre perciò prevedere l’affiancamento di varietà impollinatrici (consultare a tal proposito il catalogo di Bassi), piantate ad una distanza massima di quindici metri. Infatti quelli femminili sono fiori assai poco appariscenti e la loro fecondazione, più che agli insetti, viene soprattutto affidata al vento.