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 2016  ottobre 21 Venerdì calendario

Prendendo Orwell per il naso
. La mappa olfattiva dello scrittore

George Orwell, l’autore degli ormai «classici» 1984 e La fattoria degli animali, aveva un senso dell’olfatto particolarmente spiccato. Nel saggio intitolato Orwell’s Nose, cioè Il naso di Orwell, John Sutherland, fine studioso della letteratura inglese e brillante critico letterario, insegue gli odori citati nei libri di Orwell per rivelarci che hanno un significato decisivo.
Un anomalo odore lo si trova nella Strada di Wigan Pier, il libro inchiesta sui minatori dell’Inghilterra del nord scritto nel 1936, quando le simpatie per l’Unione Sovietica erano diffusissime negli ambienti intellettuali inglesi. «Il socialismo, almeno in quest’isola», scriveva Orwell, «non soltanto non odora più di rivoluzione, ma odora di eccentrica supponenza, di adorazione delle macchine e di stupido culto della Russia». Il naso finissimo di Orwell aveva colto l’odore della fine del sogno rivoluzionario. In compenso, nello stesso libro, mostra di apprezzare quello della miniera e dei minatori stessi. Come anche, lo scrive in Omaggio alla Catalogna, quello che sentiva quando si trovava a fianco dei combattenti antifranchisti durante la guerra civile spagnola.

Diceva Orwell che il vero segreto della differenza di classe era racchiuso nella frase che spesso aveva sentito nella sua infanzia: «i poveri puzzano». Per la verità a volte, nonostante il culto del sapone, puzzavano pure i ricchi. Anche perché, dice il libraio di Fiorirà l’aspidistra, il denaro puzza. 

La prima parte di Orwell’s Nose è occupata da una lunga prefazione in cui Sutherland illustra i punti centrali della sua indagine sull’importanza dell’olfatto nell’opera (e nella vita) di Orwell. La seconda parte è un’agile biografia, abilmente collegata ai testi letterari, che segue la scia degli odori. Il ritratto di Orwell che ne emerge è piuttosto lontano da quello che se ne ha in genere. Viene dato il giusto spazio al suo impegno politico a partire dalla partecipazione alla guerra civile spagnola, alla sua attività di propagandista per la Bbc durante la guerra, al suo lavoro di giornalista per il settimanale socialista Tribune; ma viene anche sottolineata l’importanza dei legami con i suoi compagni di scuola dell’elitario college di Eton (furono alcuni di loro a «mantenerlo» e a garantirgli il lavoro di scrittore e di giornalista), la contraddittorietà della sua esperienza militare in Birmania, con gli ambigui atteggiamenti nei confronti degli «indigeni» e le numerose frequentazioni delle «indigene», un suo qualche sadismo nei rapporti sessuali e il suo corteggiamento insistente di ogni donna che lo attirava. E infine il suo suicidio indiretto, con il lavoro intensissimo per riuscire a terminare 
1984
tra rifiuto delle cure e accanimento di fumatore.


Il giusto spazio è concesso anche alla Fattoria degli animali, la «fiaba politica» in un primo tempo rifiutata da tutti gli editori perché l’Urss era un prezioso alleato e che fu poi pubblicata a guerra appena conclusa, alla vigilia dell’inizio della guerra fredda (espressione coniata proprio da Orwell). Gli animali che dopo la rivoluzione prendono il potere nella fattoria sono i maiali, mentre gli altri animali si ritrovano ad essere più servi di prima. Perché proprio i maiali come metafora dello stalinismo? Perché essendo gli animali più sporchi e puzzolenti erano quelli che lo disgustavano di più. Soprattutto per via dei loro escrementi – così come lo disgustavano anche quelli di molti animali e quelli degli umani. Non però lo sterco di cavallo. Nel quarto volume dei Viaggi di Gulliver di Swift, l’autore che Orwell aveva eletto a suo punto di riferimento, Gulliver, che si trova benissimo nel regno dei cavalli, quando torna a casa, dato che l’odore degli umani gli è insopportabile, si rifugia nella stalla con i cavalli: l’odore del loro sterco non lo disgusta affatto. La stessa cosa valeva per Orwell. 

Alla fine del libro Sutherland fa notare come in 1984 non ci siano animali, se non i due ratti ingabbiati sulla testa del protagonista, pronti a mangiargli le guance o gli occhi. L’odore del topo (animale che suscitava in Orwell uno schifo agghiacciante) resterà nelle sue narici per sempre. Insieme a quello del cavolo bollito e dello stufato fatto di schifezze fatte passare per carne: l’odore del totalitarismo.