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 2016  ottobre 20 Giovedì calendario

Silenzio da Marte

«Mancavano cinquanta secondi all’atterraggio quando il segnale della capsula Schiaparelli si è interrotto all’improvviso. La situazione che si è creata è critica ma non si può dire che lo sbarco sia fallito».
Paolo Ferri direttore delle operazioni al centro di controllo di Darmstadt spiega con molta cautela gli ultimi passi della capsula che alle 16.49 doveva posarsi nella grande pianura Meridiani Planum, nell’Equatore marziano. Invece il silenzio ha avvolto Schiaparelli. Domenica si era staccato con precisione della sonda madre TGO alla quale era aggrappato per il viaggio iniziato nel marzo scorso. E anche dopo la separazione la grande parabola di ascolto attivata in India ha colto la sua voce.
Che cosa è accaduto, dunque, all’improvviso? «Scorrendo la sequenza delle manovre che la capsula doveva compiere – precisa Ferri – possiamo dedurre che tutto sia andato bene sino all’apertura del paracadute. Anche lo scudo che aveva protetto il modulo di sbarco dalla vampata di calore generata dall’attrito con l’atmosfera si era separato correttamente. A quel punto, però, si innescavano altre manovre nelle quali potrebbe essere nascosta la causa del silenzio».
Tutto ciò che è avvenuto era gestito autonomamente dal computer di bordo perché Marte in quel momento era lontano 175 milioni di chilometri dal nostro Pianeta e il tempo richiesto della comunicazione era di 9 minuti e mezzo: dalla Terra era quindi impossibile governare.
Quando il paracadute si è staccato si è portato via anche il cono protettivo superiore nel quale era annidato Schiaparelli e su cui era montata l’antenna che fino a quel momento aveva inviato i segnali. Avrebbe dovuto attivarsi l’altra antenna del modulo di sbarco. «L’ipotesi che avanziamo – ha sottolineato il direttore – è che la sequenza di scambio non sia avvenuta correttamente generando quindi un problema nelle trasmissioni che si sono interrotte. Se così fosse, e nel frattempo il modulo avesse continuato la discesa come previsto adagiandosi al suolo, abbiamo la speranza di riprendere la situazione correggendo gli eventuali errori che si sono generati dialogando con la sonda madre entrata perfettamente in orbita intorno al Pianeta Rosso».
Non tutto quindi sembra perduto. I sistemi elettronici sono complicati e anche il rover Spirit della Nasa quando sbarcò nel 2004 si paralizzò perdendo temporaneamente la capacità di comunicare.
La spedizione Exomars dell’Agenzia spaziale europea Esa con le sonde TGO-Schiaparelli è la prima realizzata per sviluppare le tecnologie di sbarco che l’Europa ancora possiede. L’Agenzia spaziale italiana (Asi) ha creduto sin dall’inizio alla grande sfida condividendo per il 34 per cento (circa 350 milioni di euro) le spese della missione e offrendo alle nostre industrie a partire da Leonardo-Finmeccanica la possibilità di sviluppare preziose innovazioni.
«Marte è la grande meta dell’esplorazione spaziale nella quale tutti i Paesi si stanno impegnando, dagli Stati Uniti alla Russia, alla Cina, al Giappone – ha detto il presidente dell’Asi Roberto Battiston – e il nostro Paese ha l’opportunità e la capacità per essere tra i protagonisti». Nella notte, con i collegamenti attraverso TGO, si riuscirà a chiarire la situazione nella speranza che a Schiaparelli non sia stata riservata una sorte peggiore e irrecuperabile.Giovanni Caprara



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La corsa al Pianeta Rosso (spinti dall’ansia per il futuro)
La domanda che dovremmo porci, guardando Marte, non è cosa ci andiamo a fare lassù, ma come mai non ci siamo già. È più di un secolo che scienziati e scrittori sognano di esplorare il Pianeta Rosso. Il grande Thomas Edison (già protagonista del romanzo di fantascienza Edison’s Conquest of Mars del 1898) produsse il film A Trip to Mars nel lontano 1910. Eppure ci andiamo, o progettiamo seriamente di andarci, solo ora, nel momento in cui l’esplorazione spaziale sembra un lusso e l’impresa di Exomars suscita su internet commenti al vetriolo da parte di chi sostiene che «tutti quei soldi dovrebbero essere impiegati quaggiù». In realtà il costo delle imprese spaziali non è affatto eccessivo (soprattutto se lo si paragona alle spese militari) e ha ricadute positive immediate sia a livello occupazionale che scientifico. Ma se proprio vogliamo trovare un buon motivo per l’esplorazione spaziale, e in particolare per quella marziana, basta scaricare sul nostro smartphone l’app che mostra in streaming la vista della Terra dall’Iss, la stazione orbitale internazionale. Visto da 400 chilometri d’altezza, il nostro pianeta rivela non solo la sua bellezza ma anche la sua estrema fragilità. Guardate com’è incredibilmente sottile lo strato dell’atmosfera terrestre, e come il giallo ocra dei deserti sia il colore predominante in zone sempre più vaste del pianeta. Le cronache internazionali, dal canto loro, riesumano incubi di distruzione globale che credevamo di esserci lasciati alle spalle. Andare su Marte, e nel lungo periodo colonizzarlo, significa trovare un rifugio per la nostra specie nel caso le cose dovessero mettersi male quaggiù, come immaginava Ray Bradbury nel suo immortale Cronache marziane nel 1950. Forse a spingerci oggi verso Marte è più un incubo che un sogno, più l’ansia per il futuro che il senso dell’avventura. Sappiamo già che lassù non ci accoglieranno i giganti verdi con quattro braccia e le principesse aliene dei romanzi di Edgar Rice Burroughs. Non troveremo neppure le piramidi o la «sfinge marziana» di cui ci fecero sognare per un po’ le foto a bassa risoluzione del Viking 1, nel 1976. È un mondo che non avrà bisogno di eroi come Flash Gordon, ma di uomini comuni come quello interpretato da Matt Damon nel film The Martian (ispirato al romanzo omonimo di Andy Weir), che sopravvive a un naufragio su Marte usando le sue conoscenze scientifiche e amministrando con precisione millimetrica le poche risorse sotto mano. La terraformazione di quel pianeta, la sua trasformazione in una seconda casa dell’umanità, sarà un lavoro duro, ma tecnicamente già alla nostra portata. Per le giovani generazioni Marte è un posto come un altro, che hanno già frequentato non solo nei film ma anche nei cartoni animati di Futurama e in giochi come Doom, Mass Effect o Call of Duty : psicologicamente non è più lontano dell’America o dell’Australia. Non a caso migliaia di persone si sono già candidate per un viaggio di sola andata nel discusso progetto privato di colonizzazione «Mars One». Chi teme la fuga dei cervelli avrà nuovi motivi di preoccuparsi, nel prossimo futuro.


Tullio Avoledo