Il Sole 24 Ore, 19 ottobre 2016
Il Far West del libero, mercato elettrico
La Carta europea dei consumatori di energia riconosce due diritti fondamentali ai clienti dei servizi elettrici: trasparenza e difesa da operatori scorretti. Ma da un’inchiesta de Il Sole 24 Ore emerge che in Italia questi due diritti sono calpestati da anni. E in vista della fine del regime di “maggior tutela”, che garantisce la fornitura di energia elettrica a clientela domestica e piccole imprese non ancora trasmigrate sul cosiddetto “libero mercato”, abusi e frodi sono in drammatico aumento. In particolare i cosiddetti “contratti non richiesti”, quelli siglati cioè senza il consenso o la consapevolezza del cliente.
A denunciare l’esplosione di un fenomeno a cui nessuno sembra riuscire a porre rimedio non sono solo più le associazioni dei consumatori, ma anche gli operatori del settore.
«È una vergogna italiana, una giungla di cui tutti sanno da anni. Basti pensare che già nel 2011 ci furono 110mila segnalazioni di contratti non richiesti o falsi», dice l’avvocato Vittorio Ruggeri, responsabile del Codacons di Chieti. E Giovanni Pucci, Ad e socio di Enegan, società toscana che opera sul libero mercato, dice di essere intenzionato ad abbandonare il segmento domestico in quanto incapace di fronteggiare le frodi. «Pensavamo fossero casi sporadici. Ma stiamo scoprendo che la cosa è degenerata. E questa realtà ci ha sconvolto», dice Pucci, che enumera un elenco di sistemi truffaldini che ha scoperto essere stati usati da “mele marce” nella sua stessa rete di vendita. In particolare l’esistenza di «un mercato di persone che vendono bollette e documenti, veri o contraffatti» e un mercato all’ingrosso di numeri telefonici voip ai quali si rivolgono agenti corrotti per circonvenire le telefonate di verifica. Secondo Pucci, in taluni settori la situazione è irrecuperabile: «Abbiamo fatto un test di sei mesi nel teleselling, ma abbiamo chiuso. Perché è un mercato marcio. Abbiamo fatto un test con le macro-agenzie, e abbiamo capito che è un mercato malato. Quindi abbiamo chiuso anche quello».
L’Ad di Enegan sostiene di aver deciso di lasciare il mercato consumer «anche a causa di questo caos». Perché, spiega, si ritiene vittima di questo fenomeno, che sostiene di non essere in grado di frenare. Ma la sua è un’interpretazione di parte. Chi difende gli interessi dei consumatori finiti nella morsa della rete vendita di Enegan ritiene che l’azienda di Pucci abbia a lungo chiuso uno o entrambi gli occhi finché non è stata colta in fallo dall’Antitrust. «Con una mia cliente, Enegan non è stata solo responsabile di omesso controllo nei confronti dei propri mandatari, ma a mio parere ha fatto uso di atti falsi per spingerla a saldare una pendenza debitoria illecita», ci dice l’avvocato Lorenzo Simonetti dello studio legale romano Simonetti-Zerella & Partners. «Dopodiché, nonostante avessimo comunicato che i contratti di allaccio di fornitura elettrica avessero firme contraffatte, Enegan ha continuato a inviare richieste di pagamento indebite. In seguito al mio intervento, la mia cliente ha smesso di sottostare a quelle richieste, ma non tutti possono permettersi un legale. Sotto la minaccia dello stacco della luce una piccola impresa è portata a pagare pur di poter continuare a lavorare. Il che permette ad aziende come Enegan di incassare denaro frutto di contratti non validi».
Pucci respinge ogni accusa («i truffati siamo probabilmente noi»), ma un fatto è certo: l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha da poco aperto un procedimento istruttorio «in ragione del numero significativo di (…) comportamenti posti in essere da Enegan nei confronti di consumatori e di microimprese in relazione alla prospettazione e attivazione di forniture di energia elettrica e gas».
Se su Enegan l’istruttoria deve essere ancora conclusa, nel caso della sua concorrente Green network luce & gas Srl, l’Autorità garante ha già avviato un procedimento di inottemperanza. Nel novembre del 2015 aveva deliberato che le condotte di Green network, consistenti nella «attivazione di forniture non richieste di energia elettrica finalizzate all’acquisizione di clientela domestica e di micro-imprese sul mercato libero», dovevano cessare immediatamente, irrogando una sanzione di 180mila euro. E nel giugno scorso ha deliberato di «rideterminare le sanzioni amministrative», portandole a 255mila euro.
«C’è stato un periodo in cui il fenomeno sembrava stesse scemando, ma adesso registriamo una crescita rispetto a un anno fa», ci dice Gabriele Mori, responsabile del settore energia di Federconsumatori Toscana, secondo il quale gli abusi contrattuali sono uno dei temi fondamentali del mercato dell’energia, soprattutto alla vigilia della fine del regime della cosiddetta “maggior tutela”. Sebbene la data di tale evento continui a essere spostata in avanti (doveva essere l’anno prossimo, ora si parla di metà 2018), quando questo avverrà 24 milioni di utenti ancora non passati al libero mercato saranno costretti a farlo. E se non cambia qualcosa prima, queste persone si troveranno alla mercé di aziende che da anni si servono di reti vendita esterne che non si sottraggono a metodi borderline.
È quello che ha scritto l’Unione nazionale dei consumatori al ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda in una lettera del 9 agosto in cui, tra l’altro, si diceva che «l’Antitrust continua a infliggere multe per pratiche commerciali scorrette e attivazioni non richieste, che non sembrano sufficienti a scoraggiare certi comportamenti scorretti».
Nel corso del tempo a questi comportamenti sono ricorse persino le reti vendita di colossi del settore. Tant’è che nell’aprile scorso l’Antitrust ha comminato a Enel, Eni, Acea ed Hera sanzioni oscillanti tra 2,15 milioni e 366mila euro. Ma se dopo l’intervento della Authority queste aziende risultano aver posto rimedio, dotandosi di procedure di verifica della legittimità dei contratti, molte altre più piccole continuano a operare in modo sregolato.Secondo esperti consultati da Il Sole 24 Ore, i comportamenti scorretti sono diffusi anche per via delle debolezze intrinseche nella struttura del settore. Che il mercato dell’energia in Italia non abbia raggiunto il grado dovuto di efficienza lo dimostra il numero spropositato di soggetti attivi nella vendita. Sono circa 400, contro i 46 del Regno Unito, un Paese simile al nostro, sia per popolazione che per dimensioni, dove il settore è stato deregolamentato alla fine degli anni 90.
«Io sorrido quando sento parlare del fatto che la completa liberalizzazione del mercato elettrico farà nascere nuove aziende. Noi ne abbiamo già fin troppe. In un mercato normale non dovrebbero essere più di cento», commenta Tullio Fanelli, ex commissario dell’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, oggi vice-direttore generale di Enea. «Da noi c’è evidentemente spazio anche per chi non è molto efficiente o vende poco. E questo dimostra che la concorrenza ancora non funziona bene».
Tra l’altro, nel nostro Paese i costi dei metodi di commercializzazione diffusi – telemarketing e porta a porta – sono alti. «Per i piccoli reseller che non comprano direttamente dalla borsa energetica, e sono tanti, i margini di profitto sono ridotti da un modello promozionale basato su agenti e televenditori, che è chiaramente costoso. E in più si presta all’abuso», commenta il funzionario di un’agenzia pubblica interessata che chiede l’anonimato. «Il sistema in questo momento ha molte falle. Ci sono norme che dovrebbero essere interpretate in buona fede, ma non lo sono. Anche perché sono difficili da far rispettare e si prestano a diverse interpretazioni. In più, chi dovrebbe controllare ha troppo poche risorse per farlo».
Pieraldo Isolani, responsabile del settore Energia dell’Unione nazionale consumatori, spiega che «le aziende veramente strutturate per stare sul mercato sono una quindicina. Ma in Italia chiunque può operare. Non sono richiesti requisiti di capacità organizzativa e finanziaria e nessuno può essere radiato».
Quando abbiamo chiesto all’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico se in Italia i venditori di energia sono iscritti a un qualche albo od operano con una qualche forma di licenza o concessione, ci è stato risposto che, «al fine di garantire la stabilità e la certezza del mercato, dal 1 gennaio 2016 è istituito presso il ministero dello Sviluppo economico l’Elenco dei soggetti abilitati alla vendita di energia elettrica a clienti finali».
Poiché sul suo sito non vi è traccia di tale elenco, abbiamo chiesto lumi. Ma nonostante ripetuti tentativi il Mise si è rifiutato di rispondere e dirci se questo elenco è stato mai compilato. O perché non lo sia mai stato fatto.
Quello che è chiaro è che al centro dei comportamenti scorretti ci sono le reti di vendita esterne a cui ricorrono le aziende. «Per alcune grandi utility, l’appoggio alle agenzie esterne ha creato un danno d’immagine, perché queste forzavano per ottenere contratti», sostiene Andrea Marchisio, partner della società di consulenza energetica eLeMeNS, facendo riferimento alle multe della primavera scorsa. Ma è lo stesso sistema a incoraggiare le “forzature” perché, come spiega la nostra fonte anonima, «c’è un sistema di incentivi distorti che premia il numero dei contratti piuttosto che la loro qualità. E se non perdi il diritto di vendere energia quando non ti comporti in modo onesto e ti assicuri che i tuoi agenti facciano lo stesso, hai di fatto l’incentivo opposto».
Che gli agenti operino con metodi da Far West non lo dicono solo le associazioni dei consumatori. Al nostro giornale risulta che nel corso di recenti ispezioni condotte dalle autorità competenti siano emerse evidenze di un traffico di dati commerciali illegalmente scaricati dai sistemi delle società elettriche.
La fine del regime di maggior tutela viene presentata come un passaggio importante che consentirà al mercato di fare un salto di qualità facendo emergere gli operatori migliori, ma se non si mette sotto controllo il settore, questo passaggio rischia di essere fatto sulle spoglie di 24 milioni di italiani finora protetti dal Far West dei contratti.