Corriere della Sera, 18 ottobre 2016
Carla, sfregiata dall’ex perché troppo bella. «Mi voleva infelice»
Paolo Pietropaolo dice che Carla «era una ragazza molto bella» e che per questo gli è venuto in mente di fare quello che ha fatto. Non ucciderla, no: «Non ho mai pensato di ammazzarla, e sì che avrei potuto farlo... La verità è che volevo solo sfregiarla».
Come se fosse un male minore, sfregiare. Come se tutto sommato fosse un’opzione accettabile. «E adesso vatti a divertire, vai... fatti un bel sorriso» le disse dopo averla vista contorcersi fra le fiamme. Ingranò la retromarcia e se ne andò ridendo. A Carla capita ogni tanto di ripensarci: «L’eco di quella risata non lo scorderò mai più».
Era il primo febbraio. Fra quel giorno e oggi ci sono nove mesi di operazioni e «dolori così pazzeschi che delle volte mi hanno fatto venir voglia di morire», ci sono pagine e pagine di verbali che raccontano la storia di un amore diventato possesso, c’è la bambina che lei aspettava da Paolo e che i medici hanno fatto nascere quel giorno stesso. E poi c’è il cammino lento di Carla, la sua tenacia, il suo tempo oggi scandito dai ritmi della piccolina che ha chiamato Giulia Pia e che, come dice lei, «è il regalo più bello che la vita mi abbia mai fatto».
La sua voce arriva da Pozzuoli, il comune vicino Napoli dove viveva ai tempi dell’aggressione e dove vive ancora adesso, con il suo nuovo compagno. «Mi fa male ricordare ogni volta daccapo quello che è successo» dice, scusandosi se stavolta se ne starà in silenzio «perché devo cercare di recuperare serenità ed energia». Per questo ieri non si è presentata in tribunale, a Napoli, dove si teneva la prima udienza contro il suo ex.
Il suo avvocato, Maurizio Zuccaro, l’ha chiamata per dirle che il giudice ha chiesto una condanna di 15 anni, effetto dello «sconto» del rito abbreviato perché altrimenti ne avrebbe chiesti 22 per tentato omicidio, stalking e tentato procurato aborto.
Parlando di lui, nei mesi scorsi, Carla aveva lo aveva ricordato mentre la tormentava. «Mi diceva: ti voglio infelice. Giurava che mi avrebbe fatto diventare la donna più infelice del mondo». Per Paolo l’affronto dell’addio si era sommato anche al fatto che lei lo aveva lasciato perché aveva scelto il suo amico di sempre, il ragazzo assieme al quale lui era diventato grande. Erano come fratelli, Paolo e l’altro, che oggi è un avvocato. Si frequentavano fin da bambini, loro e le loro famiglie.
«Mio figlio non è un mostro» manda a dire a Carla la mamma di lui che si chiama Giuseppina ma che tutti chiamano Pia, forse non a caso come la bambina di Carla. Vestita di nero e avvolta in una sciarpa azzurra, la signora Pia ieri mattina parlava di suo figlio piangendo e a tratti pregava, con un’immagine sacra fra le mani: «È giusto che paghi per quello che ha fatto, non discuto questo. Ma è anche vero che a un certo punto ha perduto la testa. Non riusciva più a capire perché Carla lo avesse cercato e avesse voluto un figlio da lui se aveva già da tempo una relazione con l’altro...». Non una giustificazione, sia chiaro: «Ha sbagliato, ha fatto una cosa orribile» ripete la donna girando il santino fra le mani.
Pochi metri più in là, in aula, qualcuno stava rileggendo i verbali con le dichiarazioni di Paolo: «Non avevo nemmeno intenzione di riconoscere la bambina non sentendola mia» aveva detto al magistrato aggiungendo che, per avere un figlio, erano ricorsi all’inseminazione artificiale. «Lei odia Carla?» gli aveva chiesto il pm. «Sì, a volte si fa del male alla persona che non si vuole che tradisca» aveva risposto lui.
Carla non provava più nulla per lui ormai da tempo, come aveva spiegato lei stessa in un’intervista alla trasmissione Quarto Grado : «L’amore e l’affetto da parte mia erano finiti. In questi ultimi anni ho resistito perché temevo che potesse farsi del male... però era diventata una cosa soffocante».
Dai momenti dell’aggressione il ricordo arriva lucido: «Ho chiuso gli occhi e d’istinto mi sono coperta la pancia». Voleva proteggere la piccola, più che il suo viso. Il liquido infiammabile le finì in parte sul volto ma soprattutto sul collo, sul braccio destro e sul torace. «Mentre un vicino mi soccorreva mi sono guardata allo specchio e ho visto che mi stavo sfigurando. Mi sono messa a urlare: che mi ha combinato? ripetevo, che ha fatto? Ricordo l’ambulanza e poi più niente... sono andata in coma».
Si svegliò dopo tre settimane. «Ho conosciuto mia figlia il giorno della festa della mamma, ero ancora in ospedale». È stato quello il giorno in cui Carla ha capito che ce l’avrebbe fatta, doveva farcela.