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 2016  ottobre 15 Sabato calendario

L’ira funesta di Brunetta danneggia solo Forza Italia

Renato Brunetta dovrà farsene una ragione: anche quest’anno non vincerà il Nobel per l’Economia, e non solo perché il riconoscimento è già stato assegnato. Perché lui, precario universitario diventato professore senza concorso e andato in pensione all’età di 59 anni, non lo merita. Dovrà accontentarsi di un riconoscimento minore.
Proponiamo la Palmetta d’oro per la Rissa Continua. Ha dichiarato l’on. prof. Brunetta, presidente dei deputati di Forza Italia (ruolo, secondo noi, che richiederebbe equilibrio anche nelle dichiarazioni): «Nessuna ipocrisia, Dario Fo non mi era mai piaciuto. Con me usò termini razzisti facendo riferimento alla mia altezza. Pace all’anima sua». Brunetta non si smentisce: giudica il mondo rapportandolo a se stesso, le sue simpatie e antipatie, le sue ambizioni. Ferocemente assiso al centro dell’universo, vede solo bianco o nero, mai un chiaroscuro, un filo di autoironia. Dario Fo (siamo ai tempi in cui l’on. prof.
pres. economista giurò come ministro, non dell’Economia perché Tremonti era stato ritenuto migliore di lui
nel ruolo) si riferiva
 non all’altezza fisica di Brunetta ma alla sua altezza intellettuale. Tant’è vero che chiese un seggiolino per metterlo «a livello, all’altezza della situazione». Per Fo, un «lazzo grottesco». Lesa maestà per Bonaparte Brunetta che anche a morte avvenuta gentilmente continua a risponde al lazzo con il bazooka. Il professore spara sui morti, ancora una volta rapporta il giudizio alla sua altezza. L’EGOCENTRISMO 
Beninteso: Dario Fo si può apprezzare o non apprezzare, criticare o esaltare. Immaginiamo però che il metro non possa essere l’altezza di Brunetta, a meno che non si voglia cadere nei decimali (del giudizio). Ma Brunetta è fatto così, e per questo in tanti, all’interno di Forza Italia, volentieri lo vedrebbero altrove: una presidenza non può essere un perenne ring. E poi, se ring deve proprio essere, meglio vedere l’esibizione di un peso massimo, non piuma. Poche settimane fa, alle critiche di Libero al centrodestra e alla gestione del partito, Brunetta rispose di nuovo rasoterra, ma inalberandosi molto. In tanti, più cauti ed equilibrati, tentarono di ragionare. Molti vennero sulle nostre posizioni. Brunetta è alieno all’autocritica, anche a rischio di diventare ridicolo. Depositario della Verità, ha una spiegazione per tutto, e poco importa se, quando gli conviene, cambia la Verità assoluta fornendocene un’altra esattamente opposta, ma sempre assoluta. Poco importa se quella Verità tale non è. Memorabile. Maggio 1996. Brunetta loda, con la solita enfasi, l’Unione Europea e Bruxelles che sarà la nostra salvezza, attaccando i localismi (lui attacca sempre qualcuno). Fra dieci anni, dice, tutto sarà comunitario. Grazie all’Europa si supererà il «modello di Stato ottocentesco», Bruxelles provvederà direttamente «a quello in cui non saranno in grado di far fronte le singole Regioni» italiane. Un paradiso. Sappiamo in quale inferno siamo piombati. Sulle trattative per entrare nell’euro disse: «Temere di non entrare nell’Uem per uno scarto dello 0,2% è una preoccupazione risibile». Di nuovo sappiamo quanto gli scarti, gli zero virgola qualcosa, i tassi e le trattative mal condotte ci siano costati. Un po’ prima, nel 1994, il prof. si esibì in tema di pensioni, proponendo di inasprire la contribuzione previdenziale dei commercianti. La Confcommercio minacciò di abbandonare l’Inps. Lui è andato in pensione anche grazie a 10 anni di contributi figurativi, non sappiamo quanto inaspriti. 
LE FIGURACCE IN TV 
È da una trentina di anni che Brunetta colleziona contraddizioni e figuracce, alle quali non ha aggiunto una singola teoria economica che si ricordi, un solo provvedimento (tranne quello sui dipendenti pubblici) che abbia fatto breccia nella memoria degli italiani, una vittoria limpida. Eccelle, il prof., ma nelle partecipazioni tv, nel collaudato schema del corpo a corpo televisivo. Voleva fare il sindaco di Venezia, partiva in vantaggio rispetto al candidato di centrosinistra e fu sconfitto. Si ripresentò, dieci anni dopo, e fu di nuovo sconfitto, questa volta al primo turno. Divenne consigliere comunale di Bolzano, e dopo un mese si dimise. Dimissioni anche da capogruppo della Camera nel febbraio del 2015. In tanti pensarono che potesse essere la volta buona. Berlusconi, che non abbandona i suoi uomini (talvolta sbagliando), respinse le dimissioni. Brunetta è ancora capogruppo e il mondo continua a vederlo tutto bianco o tutto nero.
Ogni cosa gira attorno a lui, il Sole della politica, l’illuminatore che la cronaca (e anche un po’ la storia) dimostra essere solo un abbaglio. Ha studiato e combattuto per essere un economista, Brunetta, e spesso si dimostra solo un caratterista, ma capace di miracoli. Ultimamente è riuscito a metterci d’accordo con Renzi (che, anche grazie a lui, risplende più di quanto meriterebbe). Aula di Montecitorio, clima teso. Renzi ha appena concluso le sue comunicazioni sul Consiglio europeo. Brunetta attacca: «Ma che le sta succedendo, signor Presidente, è stato qui a parlarci per mezz’ora sul nulla». Renzi: «Non ho parlato sul nulla, Presidente Brunetta, non stavo parlando di lei». Gentile presidente, suo malgrado dobbiamo confermare: sfuggito ancora una volta il Nobel per l’Economia, la Palmetta non gliela toglie nessuno. E chiediamo scusa per l’errore di cui sopra: ogni tanto anche lei vince qualcosa.