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 2016  ottobre 16 Domenica calendario

Brexit, la sterlina debole non è un costo aggiuntivo

La tanto strombazzata recessione che la Brexit avrebbe dovuto produrre finora non sembra materializzarsi. Non c’è molto di che stupirsi, considerando che le basi economiche per sostenere questa tesi, come già avevo segnalato, sono sorprendentemente flebili. (Ahi! Mi sono appena stirato un muscolo per darmi una pacca sulla schiena!)
Ma ora stiamo osservando un pesante calo del valore della sterlina, che si accentua man mano che diventa più probabile una hard Brexit. Come lo dobbiamo interpretare?
Inizialmente, le storie sul tracollo della sterlina erano legate alle previsioni di recessione: la domanda di investimenti sarebbe crollata determinando tassi di interesse bassissimi per un periodo prolungato, con conseguente fuga di capitali. Ma il tracollo della domanda non sembra arrivare. E allora qual è il motivo?
Per il momento voglio guardare la questione dall’ottica degli scambi internazionali, in particolare gli scambi di servizi finanziari. Possiamo usare come approccio l’«effetto del mercato interno»: è una vecchia storia nel campo di studio dei commerci internazionali, ma è stata formalizzata soltanto nel 1980 (potete andare a guardare il mio saggio sull’argomento, pubblicato sulle pagine dell’American Economic Review; lo trovate qui: bit.ly/2duaEKR). Ecco una versione alla buona: immaginate un bene o un servizio soggetto a forti economie di scala nella produzione, tanto che se viene consumato in due Paesi sarebbe più conveniente produrlo in un Paese solo ed esportarlo nell’altro, anche se il trasporto comporta dei costi. Dove verrebbe collocata la produzione? A parità di altre condizioni si sceglierebbe il mercato più grande, in modo da ridurre al minimo i costi di trasporto. Naturalmente non è detto che le altre condizioni siano pari, ma la dimensione del mercato giocherà sempre un ruolo, a seconda dell’entità dei costi di trasporto.
In uno dei modelli proposti in quel mio vecchio saggio, la cosa funzionava non nel senso che tutta la produzione abbandonava l’economia più piccola, ma nel senso che l’economia più piccola pagava salari più bassi e quindi compensava in competitività quello che perdeva in accesso al mercato. In pratica, usava una valuta più debole per compensare le minori dimensioni del mercato.
Nel caso della Gran Bretagna, pensiamo ai servizi finanziari: i servizi finanziari sono soggetti a economie di scala sia interne che esterne, che tendono a concentrali in una manciata di centri finanziari di enormi dimensioni in tutto il mondo; uno di questi, naturalmente, è la City londinese. Ma adesso ci troviamo di fronte alla prospettiva di un forte incremento dei costi di transazione tra la Gran Bretagna e il resto dell’Europa, che crea l’incentivo a spostare quei servizi dall’economia più piccola (la Gran Bretagna) a quella più grande (l’Europa). La Gran Bretagna quindi ha bisogno di una valuta più debole per compensare questo effetto negativo.
Tutto ciò rende la Gran Bretagna più povera? Sì. Ma è importante essere consapevoli che non tutti verranno colpiti allo stesso modo. Prima della Brexit, la Gran Bretagna era chiaramente affetta da una variante della Dutch disease. Nella sua forma tradizionale, questo concetto si riferisce all’esportazione di una risorsa naturale che mette fuori gioco l’industria manifatturiera nazionale tenendo alto il valore della moneta. Nel caso della Gran Bretagna, le esportazioni finanziarie della City giocavano lo stesso ruolo, perciò il loro indebolimento aiuta l’industria manifatturiera britannica (e magari i redditi di chi vive lontano da Londra e dipende ancora per la propria sussistenza, direttamente o indirettamente, proprio dall’industria manifatturiera). Non è del tutto un caso che siano state queste le regioni dell’Inghilterra (non la Scozia!) che hanno votato per la Brexit.
Qual è la morale di tutto questo, in termini di politica economica? Sostanzialmente, che una sterlina più debole non dovrebbe essere vista come un costo aggiuntivo della Brexit: è semplicemente parte dell’aggiustamento.
E sarebbe un grosso errore sostenere la sterlina per frenarne il deprezzamento: le vecchie nozioni di tasso di cambio di equilibrio non sono più applicabili.