Il Messaggero, 15 ottobre 2016
L’ira di Israele e Giappone «Mai più fondi all’Unesco»
Israele e Giappone rompono con l’Unesco, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura. Una perdita pesante, di milioni di dollari l’anno, ma anche la conferma del valore politico, e non soltanto storico, di siti archeologici o opere d’arte.
Dei due casi ha avuto eco maggiore, anche in Italia, quello che ha interessato lo Stato ebraico. A scatenare la protesta di Israele è stata l’approvazione, da parte della Commissione esecutiva dell’Unesco, di una risoluzione che disconosce i legami con l’ebraismo dei luoghi santi della Città Vecchia di Gerusalemme: il Monte del Tempio, chiamato dai musulmani Spianata delle Moschee, e il Muro Occidentale, noto come Muro del Pianto.
LA REAZIONE DI BENNETT
La reazione israeliana non si è fatta attendere. Secondo quanto riferito dal sito Maariv, il ministro dell’Istruzione, Naftali Bennett, ha annunciato di sospendere immediatamente «tutte le operazioni» con l’Unesco, con cui «non ci saranno incontri con i suoi rappresentanti o la partecipazione a conferenze internazionali». Bennett conclude che da adesso il suo paese non avrà più «alcuna cooperazione con un’organizzazione professionale che fornisce supporto al terrorismo». Nello specifico, la risoluzione riconosce l’«importanza della Città Vecchia di Gerusalemme e delle sue mura per le tre religioni monoteiste», ma non il legame con l’ebraismo dei due siti, di cui vengono utilizzati soltanto i nomi e le espressioni in arabo, tra cui moschea di Al Aqsa o Haram al Sharif e Buraq Plaza.
Per il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, «negare i legami ebraici con il Monte del Tempio è come negare quelli della Cina con la Grande Muraglia o quegli degli egiziani con le Piramidi». La Risoluzione è stata presentata dalla Palestina (che dal 2011 è membro a pieno titolo dell’Unesco), insieme a Egitto, Algeria, Marocco, Libano, Oman, Qatar e Sudan; ad approvarla sono stati 24 paesi, respinta da 6 (Usa, Germania, Gran Bretagna, Lituania, Estonia, Olanda), mentre in 26 si sono astenuti (Italia compresa), infine Serbia e Turkmenistan non erano presenti. Un testo così controverso che la presidente dell’Unesco, Irina Bokova, ha tentato smorzarne i toni, in attesa del voto definitivo del Consiglio esecutivo, in programma per la prossima settimana. «L’eredità di Gerusalemme è indivisibile si legge in una nota dell’organizzazione. Negare, nascondere o cancellare qualsiasi tradizione ebraica, cristiana o musulmana indebolisce l’integrità del sito e contraddice le ragioni che hanno giustificato la sua iscrizione nella lista del Patrimonio Universale dell’Unesco».
Quella appena approvata è una risoluzione simile a quella di metà aprile. Anche allora Israele aveva protestato, in particolare per l’approvazione da parte di Francia, ma anche di Russia e Spagna. Ma questa di adesso appare come una frattura insanabile, con tanto di stop alla collaborazione, a meno che non vi sia una clamorosa svolta nella votazione finale.
LA DECISIONE DI TOKYO
Ma per l’Unesco non è l’unica polemica. Il Giappone ha annunciato che interromperà il versamento delle sue quote annuali pari a 40 milioni di dollari in seguito alla decisione di inserire i documenti sul Massacro di Nanchino, compiuto tra il 1937 e il 1938, nel registro Memoria del Mondo. A presentare la domanda era stata la Cina nel 2014 e a nulla sono servite le proteste giapponesi. La mossa di Tokyo può avere ricadute pesanti: dopo la decisione, in passato, degli Usa di sospendere le proprie quote annuali (oltre 80 milioni di dollari) a seguito dell’entrata della Palestina, il Giappone è sempre stato uno dei principali finanziatori dell’Unesco, che ora sarà costretto a rivedere nuovamente il proprio budget.