Il Sole 24 Ore , 15 ottobre 2016
Il motore di Wall Street è senza benzina. Nei prossimi mesi potrebbe ridursi sensibilmente anche l’artificioso sostegno dei «buy back»
Trovarsi l’indice S&P sotto di due punti percentuali dal recente massimo storico è cosa che procura angoscia a Wall Street, sebbene la borsa abbia guadagnato da inizio anno un non disprezzabile 5%. Ma vedere lo Stoxx euro in ribasso del 5,4% nel 2016 e sotto di un buon 17% dal massimo relativo del 2015 è considerato nella rassegnata Europa una condizione accettabile. Per mercati, i cui massimi storici risalgono al lontanissimo marzo del 2000, navigare a questi livelli è già una consolazione, perché quel poco di luce che li riscalda è quella riflessa dall’America. Lunga vita a Wall Street, dunque. Ma le ragioni per cui la Borsa di New York debba ulteriormente crescere sono alquanto deboli, ad eccezione della indomita volontà di farla salire. Se la spinta dovesse venire ancora dai tassi d’interesse, c’è il 50% di probabilità che gli investitori rimangano delusi, se la Fed oserà un’altra piccola stretta a dicembre. Se le speranze sono invece riposte nella crescita degli utili societari, sarebbe come arrampicarsi sul ghiaccio, perché quegli utili non crescono da due anni e perché le rosee previsioni per il 2017 sembrano più il frutto della fantasia che un calcolo attendibile.
Del resto, se negli ultimi due anni Wall Street ha potuto ritrovare nuovi record è stato quasi solo per l’artificiosa prassi dei buy back (acquisto di azioni proprie da parte delle aziende) che hanno gonfiato i flussi di acquisto titoli sul mercato e fatto lievitare del 2-3% la crescita degli utili per azione: che altrimenti sarebbe stata ancor più negativa. Nel 2016, secondo i calcoli di Barclays, le 500 società dell’S&P hanno speso (in molti casi indebitandosi) 600 miliardi per ricomprarsi le loro azioni e altri 400 per distribuire dividendi. Dai loro conti economici sono usciti mille miliardi, ovvero, per il secondo anno di fila, il 20% in più dei loro utili di esercizio: come s’era visto nella perniciosa esuberanza del 2007-08.
Nonostante l’artificio dei buy back (per cui gli utili per azione aumentano semplicemente perché i profitti vanno divisi per un numero minore di titoli in circolazione), anche i conti del trimestre luglio-settembre si stanno rivelando negativi, cosicché l’esercizio 2016 dovrebbe chiudersi, se tutto va bene, con una crescita zero. La vera questione è come andrà il 2017, perché, se si vuol credere alle stime di consenso elaborate da Thomson Reuters, gli utili sono attesi in crescita del 14%, ma, se ci si affida al buon senso, il progresso sarebbe di gran lunga più basso. Il buon senso suggerisce che, con i margini reddituali ai massimi storici e semmai in declino per una serie di ragioni (tassi d’interesse suscettibili di aumento, costo del lavoro in leggera ripresa), l’enfasi vada posta sui ricavi: anch’essi in difficile e improbabile crescita con un’economia mondiale che segna il passo (gli scambi internazionali sono in netto calo), con un’economia americana che procede a ritmi ben più lenti del previsto (si veda il grafico a lato), un dollaro piuttosto forte e con i consumi delle famiglie che tengono solo grazie al crescente indebitamento.
Non a caso, quasi tutte le maggiori case d’investimento stimano una crescita degli utili societari nel 2017 assai inferiore a un consenso che Goldman Sachs definisce ultra ottimistico. Morgan Stanley prevede una crescita degli utili attorno al 3,2%, JP Morgan del 5%, Ubs del 5,9%, Citi del 6%e Bank of America del 7%. Nel migliore dei casi siamo a metà di quanto si legge nel consenso di analisti che vaticinano guidati da una irrealistica speranza. Con multipli sugli utili (p/e) pressoché ai massimi storici (solo ai tempi della bolla internet erano di un 14-20% più alti, secondo il calcolo di BofA-Merrill Lynch), non si vede perché Wall Street possa ulteriormente salire senza rischiare un’altra bolla speculativa. Forse grazie ancora ai buy back, si dirà (ma Barclays prevede che la “festa” sia quasi finita poiché l’indebitamento delle aziende dell’S&P500 è aumentato in 3 anni di mille miliardi), forse perché le azioni restano sempre meno care dei Treasury, come suggerisce Bofa. Ma proprio questa considerazione sarebbe il peggior viatico per far scoppiare una bolla speculativa come nel 2008.