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 2016  ottobre 14 Venerdì calendario

Google-Facebook e il maxi-cavo del «nuovo mondo»

La crisi riduce il commercio di beni e gli scambi di titoli finanziari, ma il valore dei dati che circolano sull’internet globale cresce: del 45% in 10 anni, dice McKinsey. Sicché i signori del digitale, come Google e Facebook, devono investire nelle infrastrutture. Come il cavo tra Hong Kong e Los Angeles.
Già. L’economia immateriale ha un peso crescente. Viaggia sulle tecnologie digitali, trasforma i settori industriali, genera e distrugge ricchezza. Negli ultimi 10 anni, appunto, il flusso di beni e di titoli finanziari non è cresciuto mentre il flusso di dati è aumentato del 45%, secondo il McKinsey Global Institute, che inoltre registra come la crescita del Pil globale dovuta ai flussi di dati abbia raggiunto il valore di 2,8 milioni di milioni di dollari, producendo un impatto maggiore del commercio internazionale di beni fisici. La fame di infrastrutture digitali è alimentata dalla crescita delle transazioni che si svolgono sulle grandi piattaforme. E non per nulla, Google e Facebook hanno deciso di partecipare all’investimento da 400 milioni della Pacific Light Data Communication per costruire il Pacific Light Cable Network, il cavo da 12.800 chilometri che unirà a iper velocità Hong Kong e Los Angeles. Del resto, la stessa Facebook, assieme a Microsoft, aveva deciso nel maggio scorso di investire nella posa di un cavo sotto l’Atlantico gestito da una società della Telefonica. I grandi fornitori di servizi online generano la gran parte del traffico di dati e possono espandere il business soltanto se il pianeta è connesso. Sicché investono sempre di più nelle infrastrutture fisiche: cavi sottomarini, satelliti, palloni aerostatici, ogni soluzione è buona per placare la loro fame di mezzi di trasporto di dati. 
I flussi di dati aggiungono un 10% al valore del Pil globale, sempre secondo McKinsey. Banche, turismo, media e molte altre industrie hanno già vissuto le conseguenze dirompenti dell’avvento delle reti digitali. Ma ora si passa alla manifattura: dati, sensori, algoritmi e robot stanno rivoluzionando il modo di produrre e progettare i beni fisici. Mentre la scienza a base di tecnologie digitali non cessa di aprire nuove frontiere, nelle nanotecnologie, nella genetica, nella fisica dei quanti e delle particelle, nelle neuroscienze, nei viaggi spaziali. Tanto che il problema contemporaneo del digitale non è certo più quello di prepararsi al suo avvento futuro: il problema è quello di comprendere ciò che è già avvenuto per adattare i progetti economici al nuovo scenario esistente. Com’è fatto questo scenario?
Per esempio, ormai si è capito che il digitale polarizza: chi vince in una categoria di servizi digitali tende a dominarla diventando un gigante, per l’effetto-rete che favorisce la soluzione più diffusa. Sicché, per esempio, Google e Facebook diventano enormi e spaventano tutte le aziende adiacenti al loro percorso di crescita. E sicché un errore alla Samsung sulle batterie di un modello di telefono può determinare una revisione delle stime di crescita di un’intera nazione come la Corea del Sud.
Un paese che non stia a pieno titolo nei flussi di dati, perché non ha infrastrutture e cultura digitale, è destinato a perdere opportunità. L’Italia comincia a capirlo. Perché paga da tempo il suo colpevole ritardo digitale.