Il Sole 24 Ore, 14 ottobre 2016
Cina, in caduta gli scambi con l’estero
Pechino Il decennio in cui il renminbi di apprezzava del 26% sul dollaro, quell’arco di tempo magico tra il 2005 al 2015, sembra, ormai, pura fantascienza.
Una “distorsione” esecrata da molti (e per molto) e, sicuramente, dal 2013 al 2014 quello slancio è stato eccessivo. Poi, lo shock dell’11 agosto del 2015, con la Banca centrale pronta a fare un passo indietro in favore delle logiche del mercato e in vista dell’inserimento del renminbi nel paniere delle valute del Fondo monetario.
Ma il deprezzamento della divisa è stato eccessivo, sta spiazzando gli stessi vertici cinesi e, come si vede in questi giorni, la questione – largamente prevedibile – sta iniziando a travolgere tutto e tutti, con un’eco profonda sui mercati globali. Proprio l’inserimento della moneta di Pechino nel paniere delle valute del Fondo sulle quali si calcolano i Diritti di speciali di prelievo a partire dal 1° ottobre scorso ha dato il colpo di grazia al biglietto rosso.
Da allora è stata una continua discesa verso il baratro delle quotazioni, con una forchetta sempre più ampia tra yuan offshore e yuan offshore. Il renminbi questa settimana è a quota 6,7, un livello che la stessa banca centrale aveva considerato uno spartiacque, la perdita nell’anno è stata del 3,4 per cento.
C’è da chiedersi a questo punto se il problema sia la svalutazione oppure il tentativo della Cina di metterle un freno, costi quel che costi. Perché la stabilità garantita a tutti i costi con i fondamentali in peggioramento continuo rischiano di portare fuori pista.
Ieri la bilancia commerciale ha rivelato nuove falle, il sensibile calo delle esportazioni rivelato dal Centro studi del Mofcom ha trascinato al ribasso le piazze globali generando ansia sullo stato di salute dell’economia cinese.
Il mese scorso il calo delle esportazioni è stato del 5,6% rispetto allo stesso periodo del 2015 e del 2,2% quello delle importazioni. Il ministero stesso ha precisato che la caduta è ancora più ampia nei dati calcolati in dollari con l’export sotto del 10% rispetto al settembre 2015 e le importazioni sotto dell’1,9%, di nuovo negative (in agosto erano cresciute dell’1,5% rispetto allo stesso mese del 2015, e per la prima in attivo da quasi due anni).
Il surplus commerciale di Pechino sfiora oggi i 42 miliardi di dollari (41,99) ai minimi degli ultimi sei mesi. Nel 2015 era stato pari a 578 miliardi di dollari ma per “colpa” delle importazioni. Adesso c’è da registrare anche un pesante calo delle esportazioni legato al persistente peggioramento della domanda di prodotti da parte dei mercati tradizionali, l’Europa ha registrato un calo del 9,8%, gli Stati Uniti -8,1% mentre le importazioni hanno continuato a segnare un ulteriore calo.
I margini di manovra, insomma, per la Cina si sono ristretti e nuovi tagli ai tassi e ai Ratios sono finiti nel congelatore.
La pressione sull’economia reale del renminbi debole si fa sentire, dunque. Una moneta stabile sul dollaro che si apprezza sulle altre monete mette ancora più sotto pressione anche le esportazioni. Crescita e mercato del lavoro sono a rischio.
Pechino, finora, ha tentato di frenare questa caduta libera della divisa, ma a rischio anche di pagare un conto salato in termini di deficit finanziario, l’anno scorso l’incremento è stato impressionante, da 160 a 200 miliardi di dollari nel terzo e quarto trimestre. L’outflow è cresciuto, ma il deprezzamento si è, per giunta, aggravato non mitigato. Sono le aspettative di deprezzamento quindi a creare problemi ulteriori. Le riserve in valuta estera si sono ulteriormente assottigliate, per un terzo a causa anche delle turbolenze monetarie generali. Il più importante aspetto è stato giocato dalle operazioni della Banca centrale che ha acquistato forsennatamente renminbi vendendo dollari. La Banca centrale si è a sua volta ulteriormente indebolita e anche la sua politica monetaria ha perso colpi perché non riesce a controllare l’outflow ma non molla il controllo della politica di stabilità della moneta. Un bel pasticcio, per Xi Jinping & co.