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 2016  ottobre 13 Giovedì calendario

Shale oil americano torna «competitivo»

NEW YORK Alle prese con una volatilità ancora sovrana e prezzi tuttora ostaggio di economia e geopolitica, lo shale americano rimane in trincea. Ma davanti a quotazioni tornate oltre i 50 dollari – un guadagno di quasi il 15% in un mese – una riscossa appare più vicina: il prezzo ritenuto fatidico per il settore è quello di 60 dollari al barile, che potrebbe far scattare significative riscosse della produzione per fratturazione idraulica, più costosa e per questo più danneggiata dalla crisi.
Questa soglia è stata adesso esplicitamente ipotizzata entro fine anno – anche se resta da dimostrare alla prova dei fatti come ha evidenziato ieri un declino dei prezzi – dallo stesso governo dell’Arabia Saudita dopo che lunedì la Russia ha adombrato la possibilità di lavorare assieme ai paesi Opec per restituire stabilità al mercato. JBC Energy ha previsto che un simile traguardo, se sostenuto, può scongelare oltre un milione di barili – forse fino a 1,5 milioni – di produzione Nordamericana al giorno nel giro di un anno e mezzo. Altri preferiscono scommesse più prudenti, mezzo milione di barili entro la fine del 2017, ma comunque in risalita. 
La produzione petrolifera americana si trovava a settembre a 8,43 milioni di barili quotidiani contro i 9,42 milioni dello stesso periodo dell’anno scorso. 
«In breve tempo potremmo assistere a una forte crescita dell’output nordamericano e non solo», ha chiarito Fatih Birol, direttore esecutivo della Aie, a Bloomberg. Il guadagno sarebbe infatti significativo, considerando che a gennaio il Brent era caduto a 28 dollari al barile.
Segni di ripresa, oltretutto, già emergono nei grandi bacini energetici americani. Il “conteggio” dei pozzi petroliferi in attività negli Stati Uniti ha ricominciato a lievitare dopo che per anni era stato invece spesso caratterizzato da declini decisi per frenare eccessi di produzione e rispondere a carenze di domanda. I pozzi statunitensi in servizio alla scorsa settimana erano 428, rispetto ai 328 di maggio. E nell’attuale clima di maggior ottimismo, secondo alcuni analisti, potrebbero continuare ad aumentare di circa dieci alla settimana da qui al prossimo vertice Opec il 30 novembre.
L’atmosfera di incertezza nel lungo periodo però resta e nuove tensioni sul greggio sono possibili anche sul fronte ambientale o di rischi di sabotaggi terroristici. In un’azione senza precedenti, gruppi coordinati di militanti ecologisti in quattro Stati martedì sono penetrati in remote stazioni di controllo di cinque oleodotti che trasportano negli Stati Uniti petrolio ricavato dalle sabbie bituminose canadesi per chiudere le valvole e interrompere temporaneamente il flusso, pari al 15% del fabbisogno quotidiano statunitense.
La protesta, se ha avuto scarso impatto immediato sul mercato e portato a numerosi arresti, ha sottolineato la vulnerabilità di infrastrutture strategiche. È stata rivendicata da Climate direct action in soliderietà con tribù Sioux che protestano per la costruzione di un nuovo oleodotto da 3,7 miliardi di dollari in North Dakota.