Il Sole 24 Ore, 12 ottobre 2016
Dieci anni fa la fusione tra Intesa e Sanpaolo
La banca del Nord. Ma, soprattutto, la banca del Paese. Intesa Sanpaolo è nata dalla fusione e dalla integrazione fra i due istituti – Banca Intesa e Sanpaolo Imi – che hanno rispecchiato e riprodotto, sostenuto e vivificato – nei termini dell’economia e delle élite – pezzi fondamentali della nostra realtà. Il 12 ottobre del 2006, esattamente dieci anni fa, i consigli di amministrazione delle due banche approvavano la fusione.
Il processo – industriale e finanziario – aveva preso il via il 26 agosto 2006, quando i Cda avevano approvato le linee guida. L’ultimo miglio sarebbe stato compiuto il 1 dicembre, con il sì delle rispettive assemblee straordinarie.
Dunque – da quel frangente segnato dalle leadership di Giovanni Bazoli per la parte di Banca Intesa e di Enrico Salza per la parte di Sanpaolo Imi – sono passati dieci anni, caratterizzati sotto il profilo della governance da un sistema duale (Consiglio di sorveglianza più Consiglio di gestione), abbandonato a favore del monistico nell’aprile di quest’anno.
Nello scenario bancario e finanziario italiano e nella sua tendenza storica di lungo periodo, innescata dalla Legge Amato-Carli del 1990 e modellata dalla Riforma Ciampi-Amato del 1998, la costituzione di Intesa Sanpaolo rappresenta una precisa opzione culturale e una specifica visione delle cose, oltre che un insieme di uomini e di donne impegnato a operare con l’elemento più prezioso – il denaro dei risparmiatori – da convertire nei finanziamenti alle imprese. Questa opzione culturale consiste nella costruzione di un grande aggregato bancario solidamente – quasi rocciosamente – collocato sul mercato interno.
Intesa Sanpaolo, prima che la crisi avviatasi nell’autunno del 2008 imponesse una ulteriore riconfigurazione del paradigma, rappresenta dunque la banca rivolta soprattutto al mercato interno. Un mercato interno nella sua accezione più ampia composta da imprese industriali e società di servizi, famiglie e gestori delle policy pubbliche. Una connessione intima con la realtà italiana che vale sia nella quotidianità degli artigiani impegnati a rinnovare i laboratori e dei medi imprenditori interessati ad aprire una nuova fabbrica all’estero sia nella eccezionalità delle “operazioni di sistema”, come l’organizzazione e il coordinamento della cordata imbastita nel 2008 per salvare Alitalia. Si tratta di una specifica visione delle cose gemellare rispetto per esempio a quella di UniCredit che – nella razionalità degli equilibri definiti e gestiti fin dai primi anni 90 dalla cultura tecnocratica e tecnopolitica dalla Banca d’Italia – rappresenta l’idealtipo della banca con un buon radicamento territoriale, ma soprattutto con una ottima esposizione internazionale, sancita nel 2005 dall’acquisizione della HypoVereinsbank. Sono due modelli distinti che, in quegli anni, hanno anche due personificazioni specifiche nei due amministratori delegati: Corrado Passera per Banca Intesa e Alessandro Profumo per UniCredit.
Dieci anni fa il nuovo gruppo nato dalla fusione aveva 5.489 filiali e una quota di mercato in Italia del 17 per cento. All’estero era presente in dieci Paesi (Albania,Bosnia, Croazia, Romania, Russia, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Ucraina, Ungheria) con circa 1.400 filiali. In Europa, Intesa Sanpaolo era fra le prime dieci realtà creditizie per capitalizzazione e impieghi. Dieci anni dopo Intesa Sanpaolo ha 5.245 filiali, di cui 4.047 in Italia. Inoltre, con una quota di mercato del 16%, risulta la prima banca italiana. La penetrazione all’estero è paragonabile a quella di dieci anni fa: undici i Paesi (Albania, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Egitto, Federazione Russa, Repubblica Ceca, Romania, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Ungheria) con una rete di 1.195 sportelli, che fa il paio con le attività della divisione Corporate and Investment Banking in Irlanda, Brasile e Lussemburgo e con quelle delle così dette filiali hub di Dubai, Hong Kong, Londra e New York. Nell’Eurozona, Intesa Sanpaolo è al quinto posto in termini di capitalizzazione.
L’Italia odierna è segnata dagli effetti di una recessione profonda e duratura, che sta colpendo le famiglie nella capacità di progettare un futuro migliore e che sta mutilando il sistema economico in una parte del suo potenziale produttivo. Nei primi sei mesi di quest’anno, Intesa Sanpaolo ha erogato 27 miliardi di euro di nuovo credito a medio-lungo termine, di cui 24 miliardi in Italia (+24% rispetto al primo semestre 2015). Di questa cifra, 20 miliardi sono andati a famiglie e piccole e medie imprese (+32% rispetto al primo semestre 2015); inoltre, più di 10mila aziende italiane sono state riportate in bonis da posizioni di credito deteriorato (sono circa 40mila dal 2014). A fine 2015 i proventi operativi netti ammontano a 17,14 miliardi, in crescita dell’1,9% rispetto ai 16,82 miliardi del 2014. Quanto agli aggregati patrimoniali, al 31 dicembre 2015 il totale attivo è di 676,5 miliardi (+4,5%), crediti verso la clientela per 350 miliardi e una raccolta diretta superiore a 372 miliardi.
Non è ancora chiaro se i segnali minimi indichino una inversione di tendenza e un miglioramento delle aspettative sull’andamento della congiuntura economica. Di certo, la ripresa dei crediti – il cui stock ha superato quota 360 miliardi (+3,7% rispetto a fine 2015) – è stata trainata da anticipazioni e finanziamenti (+5,3 miliardi, pari a +4,5%) e dai mutui, in aumento di 3,7 miliardi (+2,7%).
Oggi il sistema bancario europeo versa in condizioni potenzialmente drammatiche. Alla luce dei risultati degli stress test pubblicati dall’Eba a fine luglio 2016, Intesa Sanpaolo è l’unica grande banca in Europa che, anche nello scenario più avverso, mostra una posizione di capitale in eccesso (71 punti) rispetto ai requisiti previsti in condizioni ordinarie.Questo itinerario complesso è durato dieci anni. E ha avuto il suo definitivo compimento con l’attuazione del piano strategico ideato da Carlo Messina tre anni fa, capace di integrare pienamente – dalle banche di territorio al private banking – i patrimoni professionali e industriali, tecnologici e culturali del vecchio Sanpaolo Imi e della vecchia Banca Intesa. Due storie che, ormai, sono diventate una unica storia.