la Repubblica, 12 ottobre 2016
La resa di Samsung: cancellato il Note 7. Lotta di successione dietro il grande flop
ROMA Samsung getta la spugna e ferma la produzione dei Galaxy Note 7. Si conclude così la parabola disastrosa del suo modella di punta che in Italia sarebbe costato 879 euro. Presentato in pompa magna a New York il 2 agosto, è stato messo fuori produzione settantadue giorni dopo. E pensare che D. J. Koh, presidente della divisione mobile da poco più di un anno e oggi seduto su una poltrona molto scomoda, ne aveva parlato come dello smartphone «più intelligente al mondo». In realtà era uno dei più potenti, sulla carta, ma è diventato un caso che verrà ricordato a lungo, con un danno economico valutato in circa dieci miliardi di dollari e uno di immagine che va ben oltre. Già ieri il titolo ha ceduto l’8% alla Borsa di Seoul.
Le tappe sono note. Il 24 agosto cominciano a circolare le prime notizie su dispositivi esplosi o fusi dal surriscaldamento della batteria. Samsung minimizza, parla di pochi esemplari. Il 2 settembre decide però di richiamare i 2,5 milioni di Note 7 venduti fino a quel momento e di cambiarli con la versione priva della batteria difettosa costruita in Sud Corea. Poco più di 20 giorni dopo è chiaro che il problema non è ancora risolto, malgrado le batterie vengano ora dalla Cina. La parola fine è arrivata ieri.
«Partiamo da una considerazione: nessuno sa ancora esattamente cosa sia accaduto», racconta Roberta Cozza, analista da venti anni della Gartner, società di consulenza specializzata in tecnologia. «Se si fosse trattato “solo” della batteria, cambiando il fornitore i problemi si sarebbero dovuti risolvere. È il secondo richiamo il segnale più grave: vuol dire che dentro il maggior produttore di telefoni al mondo qualcosa si è inceppato. Sicuramente nel sistema di controllo e verifica dei dispositivi che vengono messi sul mercato. Ma temo che non sia solo quello il problema». Samsung ha avviato una indagine interna, mentre appare sempre più strano che per un telefono così importante salti completamente ogni forma di controllo per ben due volte di seguito. «Sembra impossibile», conferma Stefano Mosconi, a lungo in forza alla Nokia prima di fondare assieme ad altri due colleghi la startup Jolla. «Una batteria che fonde in questa maniera è fantascienza. Anche il processore può scaldare ed è proprio per questo che esistono circuiti di sicurezza che si attivano se la temperatura di un componente sale troppo. Quando si produce un telefono in una compagnia del genere, si eseguono test di ogni tipo. Ma mettiamo che li abbiano fatti male e di corsa, i telefoni vengono sempre dati a gruppi di dipendenti perché li provino. Possibile che nessuno si sia accorto di nulla?» Nel migliore dei casi quindi la Samsung, che nel 2015 ha venduto 320 milioni di telefoni, avrebbe prodotto uno smartphone senza sistemi di sicurezza basilari con un errore di progettazione così macroscopico da portare la batteria a fondere.
E pensare che nella “dichiarazione di Francoforte”, come la chiamano internamente, l’azienda decise di puntare alla qualità e alla fascia più alta del mercato. Il figlio del fondatore, Lee Kun-hee, chiamò a raccolta centinaia di dirigenti e davanti a loro fece fare a pezzi migliaia di quei telefoni a basso costo che allora producevano. «Cambiate tutto, a parte le vostre mogli e i vostri figli», spiegò. Quel che disse in quei tre giorni divenne poi un manuale di 200 pagine letto religiosamente dai dipendenti. La multinazionale che battaglia con Apple e ha in mano il mercato è opera sua. Ma Lee Kun-hee, che oltre ai successi ha collezionato accuse di corruzione e scandali sessuali, è gravemente malato e lo scontro per la sua successione è in corso da tempo. Anche se il figlio Jay Lee è uno dei favoriti, fra i vari dipartimenti e manager si fa a gara per conquistarsi un posto al sole. Con conseguenze che ora sono sotto gli occhi di tutti.