Il Messagero, 9 ottobre 2016
Il caso della donna che ha nascosto i manoscritti di Verga per 40 anni
I manoscritti originali di Giovanni Verga agli esordi, quando il padre del Verismo ottocentesco era patriottico e romantico, e a soli 16 anni abbozzava Amore e Patria. Poi, la prima stesura de I Malavoglia, le bozze di Mastro Don Gesualdo, La Lupa e I carbonari della montagna. Un Verga inedito, fotografo provetto. E, soprattutto, una sfilza di lettere mai divulgate del verista cresciuto e diventato scrittore di successo: scambi epistolari con il Vate, Gabriele D’Annunzio, e con Luigi Pirandello. Documenti preziosi, sottratti allo studio per decenni, dimenticati e poi scovati in un appartamento romano, nel quartiere Prati. La pm Laura Condemi, della Procura capitolina, scrive in un capo d’imputazione che quei carteggi sono «di valore inestimabile», nonostante qualcuno abbia tentato di darvi un prezzo. Qualcuno che oggi è accusato di appropriazione indebita, ricettazione e violazione della normativa del patrimonio artistico. A rischio processo è l’erede dei coniugi Perroni: si tratta di Angela Maria, settantanovenne, figlia di Vito e Lina, noti studiosi verghiani. La pm ha appena chiuso le indagini nei suoi confronti, atto che solitamente precede una richiesta di rinvio a giudizio.
LA STORIA
Perroni padre, professore, alla fine degli anni Venti aveva ricevuto tutte le carte verghiane. Su sollecitazione del ministro fascista Giuseppe Bottai, era infatti stato incaricato di realizzare un’opera omnia di Verga con Mondadori. Insieme alla moglie aveva pubblicato diversi volumi, ma si sarebbe poi rifiutato di restituire i manoscritti agli eredi dello scrittore, facendo scattare una disputa giudiziaria infinita. La bagarre per i manoscritti sembrava chiusa almeno trent’anni fa. È tornata in auge nel 2012, tra imbrogli sventati e colpi di scena inattesi. Alla fine degli anni Settanta, Pietro Verga, nipote dello scrittore, fa infatti causa ai Perroni. La sentenza del Tribunale di Catania arriva nel 1975: ingiunge agli studiosi di restituire i manoscritti all’erede che, nel frattempo, stringe un accordo con la Regione per la vendita delle preziose carte. Nessuno si accorge che Perroni non restituisce il fondo completo. Se ne accorgerà nel 1978 il professor Francesco Branciforti, che in quegli anni dirige la Fondazione Verga e il Comitato per l’Edizione Nazionale. Le opere, però, sono scomparse nel nulla: recuperale sembra impossibile.
IL RITROVAMENTO
Il ritrovamento degli ultimi appunti verghiani ha quasi dell’assurdo. È il 2012, le bozze vengono offerte alla casa d’aste milanese Christie’s. Angela Maria Perroni ha infatti deciso di mettere in vendita il fondo ereditato nel 1978, alla morte del padre. Forse non sa di aver commesso una sfilza di reati. A quel punto, la Soprintendenza ai Beni librai della Regione Lombardia, intercetta il tentativo di cessione e, dopo aver avviato il procedimento di dichiarazione di interesse culturale, affida gli scritti all’università di Pavia, prima del sequestro disposto dalla Procura di Roma. Sul banco d’asta, i manoscritti originali e la corrispondenza tra Verga e gli amici studiosi scrittori vengono stimati 4 milioni di euro. Quando i carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale setacciano casa Perroni, trovano un vero e proprio tesoro: 36 manoscritti, centinaia di bozze, carteggi, disegni, fotografie e appunti. Per la donna scatta l’accusa di appropriazione indebita e violazione del codice dei beni culturali. La Procura le contesta anche la ricettazione, perché durante la perquisizione nel suo appartamento i carabinieri trovano anche opere archeologiche non dichiarate.