Corriere della Sera, 10 ottobre 2016
Il commento a Macedonia-Italia di Mario Sconcerti
Credo sia giusto andare un po’ oltre il risultato, oltre la prestazione di un’Italia inventata quasi con arroganza. Ha giocato una squadra più che sperimentale, Bernardeschi-Verratti-Bonaventura sono tre ottimi giocatori ma non faranno mai un reparto. C’è stato uno squilibrio evidente giustificato solo dalla goliardia degli avversari, di calcio reale solo qualche attimo. La mia impressione è che Ventura non sia ancora nella parte, pensa troppo alle cose da fare, quasi sempre le subisce e tira fuori spesso argomenti per difendersi che non sono suoi. È come giocasse a convincere gli altri di essere adatto alla Nazionale, e dicendolo tenti di convincersi anche lui. Conosco Ventura da tanti anni, ci ho parlato di calcio in tante osterie, per correttezza aggiungo che a bere ero solo io. Non è questo. È modesto ma non umile, ha un suo calcio lucido in testa, non ha bisogno di spiegare ogni volta perché hanno scelto lui. Subisce una pressione che francamente in questo momento non c’è, ma è stato abituato a rimanere sempre nascosto nella vita. La prima luce vera è come lo costringesse a truccarsi. È sempre «ossessionato», «eccitato», «esausto», si sente sempre un po’ vittima, racconta che si è meritato la Nazionale per aver lanciato decine di giovani in carriera, ma nessuno gli ha mai chiesto una spiegazione. È in sostanza lontano dal suo compito e da se stesso perché occupato a essere un altro che non ci serve. Il primo da convocare in Nazionale è lui, il primo da sperimentare. Vorrei si lasciasse andare, pensasse solo al calcio, lo conosce. Così sembra un invitato goffo alla festa sbagliata. Passa in un attimo dal silenzio al baccano tattico. Va da sé che nessuno lo aiuta. La squadra non aveva qualità nei vecchi e non ha certezze dai giovani. Una piccola prova di questa transizione cieca viene perfino da Buffon. C’è un’insicurezza comune che contagia anche i più bravi. Senza che il comandante abbia la vecchia arroganza dei generali, come se non credesse in niente e aspettasse un segno dal cielo. L’unica nota positiva è il gol di Belotti che sembrava aprisse una grande serata, poi la piccola regolarità di Immobile. Ma è troppo poco. È tempo di avere paura.