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 2016  ottobre 09 Domenica calendario

Giuseppe Bottai era uomo sensibile e intelligente o un fascista intransigente ed antisemita?

Vorrei conoscere il suo giudizio sulla rivista «Primato». Ho sentito su di essa pareri contrastanti. Alcuni sostengono che era ispirata da sentimenti tolleranti e liberali e ciò sarebbe dimostrato dal fatto che era stata fondata da Giuseppe Bottai, uomo sensibile e intelligente. Altri sostengono invece che Bottai fosse un fascista intransigente ed antisemita. Questi ultimi non si lasciano convincere dal fatto che molti collaboratori fossero poi passati nelle file comuniste attribuendo loro una scelta opportunista. A chi devo credere?
Antonio Fadda
Caro Fadda,
D i Giuseppe Bottai esiste un bel profilo scritto da Indro Montanelli per la sua «Stanza» sul Corriere del 18 novembre 2000. Si erano conosciuti ad Addis Abeba, durante la Guerra d’Etiopia e Montanelli lo considerava una delle poche figure di rilievo a cui Mussolini aveva permesso di avere nel regime un ruolo di primo piano. Coltivava l’amicizia degli intellettuali, li incoraggiava e li proteggeva. Quando Montanelli, durante la Guerra di Spagna, divenne per qualche tempo la pecora nera del partito fascista, Bottai gli dette una mano invitandolo a scrivere per le sue riviste. Fra queste, «Primato» fu certamente la più interessante. Proverò a spiegarne le ragioni descrivendo un numero che ho sotto gli occhi, apparso il 15 aprile 1942, nel terzo anno dalla sua fondazione e poco più di un anno prima della caduta del regime.
Metà della prima pagina è occupata dalla testata («Primato Lettere e Arti d’Italia») e l’altra metà da un disegno di Renato Guttuso che rappresenta cinque donne in una stanza, fra cui una nuda di fronte allo specchio e una che allatta un bambino. Lo stile è quello del realismo espressionista che caratterizzerà l’opera di Guttuso nei decenni successivi.
Il primo articolo è un lungo editoriale di Bottai sulla socialità dell’arte in cui si festeggia l’approvazione recente di una legge «che impone l’obbligo di considerare le arti figurative sullo stesso piano dell’architettura e stabilisce la spesa del 2% per le pitture e sculture che negli uffici pubblici dovranno essere poste a ornamento». Mentre Bottai ne rivendica il carattere fascista e la considera un altro passo verso la realizzazione dei princìpi rivoluzionari, un pittore della scuola romana, Virgilio Guzzi, cerca di spiegare quali siano stati i rapporti fra l’arte e la pubblica committenza nella storia italiana. Viene immediatamente dopo un racconto autobiografico di Montanelli («Un nome molto difficile») che spiega, tra il serio e lo scherzoso, perché gli sia toccato in sorte, al momento della nascita, un nome «sovversivo che non era né nella famiglia, né nel calendario».
Le pagine dedicate alla letteratura pubblicano recensioni di Walter Binni, Mario Alicata e Giansiro Ferrata, una lunga poesia di Alfonso Gatto, un elzeviro di Leonardo Sinisgalli, un lungo saggio su La Rochefoucauld di Giovanni Macchia (forse il migliore francesista italiano della seconda metà del Novecento), una prosa d’arte di Cesare Zavattini, scrittore e futuro sceneggiatore di alcuni fra i migliori film del neorealismo italiano. Nelle pagine dedicate all’arte vi è un saggio su Giorgione di Giuseppe Fiocco, grande esperto di pittura veneta.
Questo numero di «Primato» uscì nell’Italia fascista e nel mezzo della Seconda guerra mondiale. Ma tutti i nomi degli autori e degli artisti saranno nei sommari delle riviste antifasciste del dopoguerra e alcuni essi (Gatto, Alicata, Ferrata) in quelli di «Rinascita», la rivista fondata da Palmiro Togliatti dopo il suo ritorno in Italia. Bottai si credeva un rivoluzionario fascista. Gli intellettuali che scrivevano per «Rinascita» si credevano rivoluzionari comunisti. Ma erano tutti figli di un Paese in cui si dice «rivoluzione», ma si intende continuità.