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 2016  ottobre 10 Lunedì calendario

Con «Dieci cose» Veltroni vuole cambiare la Rai

Per Walter Veltroni, che ha ideato lo show, «sarà una festa». Passioni e ricordi come effetti speciali, Dieci cose, il nuovo varietà di RaiUno condotto da Flavio Insinna e Federico Russo dal 15 ottobre, intrecciando le storie degli ospiti ( i primi Gianluigi Buffon e Alessandro Cattelan) prova a rivoluzionare il sabato sera. RaiUno sperimenta, lo ha fatto con gli speciali Mogol e la serata dedicata a Bolle, due successi, e ora con questo show in cui la memoria è protagonista.
Seduto nel suo studio foderato di libri e dvd, l’ex segretario del Pd, oggi scrittore e regista (dopo il film su Berlinguer e quello sui bambini, record di ascolti su Sky, prepara un documentario sulla felicità), racconta il suo sabato formato tv.
Com’è nato il progetto di “Dieci cose”?
«Leonardo Pasquinelli di Magnolia mi chiese di collaborare a un loro progetto, ma non ero adatto. Però gli parlai dell’idea che, dai romanzi ai film, mi ossessiona da sempre: la memoria. Volevo capire se fosse possibile portarla in una dimensione spettacolare e di massa. La commedia all’italiana ci riuscì, criticando la società con una chiave che la sinistra all’inizio faticò a capire. Dieci cose è un gioco della memoria declinato in chiave pop, un esperimento: sono curioso di vedere come l’hanno sviluppato gli autori».
Cos’è per lei la tv pop?
«Una tv che mescola i generi, pensata per tutti, con il clima giusto. Sere fa su RaiDue vedevo
Stasera tutto è possibile con Iacchetti e il Mago Forest che sfidavano il piano inclinato, comicità alla Stanlio e Ollio. Un sorriso aiuta».
Oggi è più difficile intercettare i gusti.
«Oggi le persone in tv urlano, piangono, si fidanzano, ma non raccontano. La mia idea è che, attraverso l’espediente della lista, gli ospiti possono raccontarsi per quello che sono con le proprie emozioni. In tempi di odio, in cui il riconoscimento dell’altro è negato, è bella la curiosità. Se la televisione non è curiosa non è televisione».
Le emozioni si concentrano in show come “C’è posta per te”, spesso criticati.
«La tv di Maria De Filippi è interessante e non va sottovalutata, è la dimensione in cui memoria e emozioni convivono. Costruire emozioni o divertimento è possibile, ma ci vuole spessore».
La preoccupano gli ascolti?
«L’equazione “quantità è qualità”, l’idea che una cosa sia bella se ha tanto pubblico contrasta con l’industria culturale. Angelo Guglielmi a RaiTre non otteneva ascolti alti, anche gli show di Arbore non facevano numeri da record, ma restano nella storia. L’isola dei famosi fa ascolti e non è bello. Una mia fissazione è ripristinare l’indice di gradimento, che non deve sostituire l’Auditel ma affiancarlo. Sarebbe utile anche ai fini pubblicitari, aiuterebbe la Rai a capire i gusti».
Lo sa che “Dieci cose” è uno degli show più costosi?
«Lo show del sabato come la fiction è la portaerei della Rai, ma i costi sono un tema che non mi riguarda».
Una vita in politica, segretario del Pd, vicepresidente del Consiglio, ministro della Cultura. Ora fa l’autore: cosa risponde a chi la critica?
«Ho fatto una scelta radicale, oggi proseguo il mio impegno civile così. In Italia è raro che uno decida di smettere di avere potere, forse anche per questo la gente mi vuole bene. Guardo alla vita che ho vissuto con riconoscenza, ho fatto tutto quello che potevo fare, ma ho voltato pagina. Quando ho smesso di avere ruoli non ne ho voluti e non ne ho chiesti. Oggi sono nel Consiglio direttivo dell’Unicef, nel cda della Fondazione del Museo della Shoah e presidente onorario della fondazione Sordi».
La nuova Rai stenta a decollare: cosa direbbe a Campo Dall’Orto?
«Che il servizio pubblico al tempo del palinsesto fai da te, delle nuove tecnologie e dei social network deve fare ricerca. Bernabei inventò un formato, i film per la tv, e nacquero Prova d’orchestra di Fellini, La strategia del ragno di Bertolucci... Bisogna continuare a inventare, la Rai, più degli altri, deve essere la fabbrica delle idee».
Tra le sue “Dieci cose”, ne scelga tre.
«2001: Odissea nello spazio di Kubrick, l’Iliade, una vacanza con le mie figlie quando erano bambine».