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 2016  ottobre 09 Domenica calendario

Processo al Nobel

Alla metà degli anni Sessanta, Rober Paine, scienziato dell’Università di Washington a Seattle, scoprì nell’ecosistema litoraneo che stava studiando un principio organizzativo sconosciuto. Quando era presente una determinata specie di stella marina, un assortimento variegato di alghe, patelle, cirripedi, anemoni di mare e mitili viveva in equilibrio delicato e dinamico. Non appena si toglieva da tale ambiente la stella di mare in questione e la si buttava nell’oceano, l’equilibrio veniva meno e un tipo di mitili prendeva il sopravvento su tutto. Paine coniò all’epoca una definizione per indicare l’enorme influenza della stella marina: “Specie chiave”. Da allora specie chiave sono state individuate nelle foreste e nelle praterie, negli oceani e perfino nelle viscere umane. Il concetto di specie chiave è diventato uno dei principi teorici guida dello studio dell’ambiente, e ha avuto un impatto determinante che, tra altre cose, ha ispirato la reintroduzione del lupo nel parco di Yellowstone, dove oggi contribuisce a tenere sotto controllo una popolazione di alci che, in caso contrario, avrebbe fatto piazza pulita di pioppi e salici.
Se Paine, deceduto nel giugno scorso, fosse stato un medico, un chimico o un biologo cellulare, un simile paradigma fondamentale, applicabile su vasta scala e così importante, probabilmente gli sarebbe valso la candidatura al premio Nobel. Paine, però, era uno studioso dell’ambiente e di conseguenza non aveva possibilità alcuna di aspirare al prestigio, all’autorità e alla ricchezza che conferisce un Nobel. La stessa cosa si può affermare dei migliori geologi, oceanografi, meteorologi, climatologi, esperti di coltivazioni, botanici, entomologi e specialisti di molti altri campi. La scienza si è ampliata di continuo fino a includere sempre più sfaccettature del nostro mondo, e ha acquisito un’importanza sempre maggiore per le nostre vite. Malgrado ciò, la società scientifica che assegna i premi più importanti al mondo in buona parte ha completamente ignorato questa evoluzione. Di conseguenza i Nobel, annunciati questa settimana, sono riservati a una frazione sempre più esigua della comunità scientifica e perdono interesse per la società nel suo insieme. È giunta l’ora di procedere a un loro aggiornamento. L’ambito di interesse della scienza si è notevolmente ampliato ed è maturato in modo spettacolare dalla fine dell’Ottocento. La British Ecological Society, l’associazione di studiosi dell’ambiente più antica del mondo, fu fondata nel 1913. La geologia ricevette uno straordinario impulso nel 1915, quando Alfred Wegener presentò la teoria della deriva dei continenti, che portò a spiegare alcuni fenomeni come i terremoti, i vulcani e la formazione delle montagne. Il primo modello climatico computerizzato fu ottenuto solo negli anni Cinquanta, mentre la climatologia si è evoluta in modo esponenziale da quando sessant’anni fa è stato riconosciuto per la prima volta il pericolo connesso al surriscaldamento globale.
Le scoperte in questi campi scientifici sono sicuramente sempre più importanti per risolvere la maggior parte dei pressanti problemi nel mondo, dalla protezione delle specie a rischio di estinzione alla previsione di terremoti e uragani. Malgrado ciò, la Fondazione Nobel non ha compiuto alcun passo significativo per riconoscerle. Le foreste e gli oceani sono indispensabili per rendere il pianeta vivibile, eppure non c’è alcun premio Nobel scientifico che un ricercatore o uno studioso di foreste o oceani possa solo lontanamente sognare di vincere. Né esiste un Nobel per chi si occupa di scienze della formazione o di attività scientifica a largo raggio. Nel 1970 Norman Borlaug, un agronomo, vinse un Nobel per le sue ricerche sulla riproduzione selettiva delle sementi di grano che, indubbiamente, ha salvato più vite umane di quante ne abbiano salvate scoperte effettuate in campo medico, chimico o biologico e insignite di tale premio. E così pure è accaduto al Gruppo intergovernativo sul Cambiamento del Clima, premiato insieme ad Al Gore, nel 2007. Tutti questi, però, hanno ricevuto il premio Nobel per la Pace, non per le scienze. Nel 2009, dieci illustri scienziati e ingegneri, compreso un premio Nobel, hanno scritto una lettera aperta alla Fondazione chiedendo di riconoscere un numero maggiore di ambiti scientifici, facendo notare che una simile evoluzione era già avvenuta nel 1968, quando fu istituito il Nobel per l’Economia, facendo venire meno l’argomentazione per la quale i premi sono vincolati alle volontà di Nobel. La Fondazione ha risposto dicendo che le commissioni incaricate di assegnare i premi «sono state ragionevolmente brave finora a individuare gli sviluppi più decisivi per la civiltà moderna».
L’attenzione che il Nobel riserva ad ambiti scientifici ristretti crea di fatto un universo scientifico su due livelli, in cui solo alcuni ambiti hanno accesso a un meccanismo promozionale unico e autorevole. Gli studiosi insigniti del Nobel acquisiscono una grande visibilità sui mezzi di comunicazione e vedono accresciuto il loro spessore professionale, oltre ad avere maggiori opportunità, pressoché senza pari in ambito scientifico. Incontrano di frequente i rappresentanti politici di medio-alto livello e i loro premi sono utilizzati dalle loro istituzioni e dai loro paesi per far leva e ottenere maggiore prestigio e più risorse. Che la società scientifica assegnatrice di premi più importante al mondo abbia ignorato così platealmente i cambiamenti epocali avvenuti in ambito scientifico potrebbe danneggiare non soltanto gli scienziati che non sono candidabili al Nobel, ma anche lo status della scienza nella società. I finanziamenti fermi o in netto calo e i sempre più numerosi attacchi politici alla scienza lasciano intendere che ciò è già accaduto in molti paesi. Sia chiaro, non intendo dire che non dovremmo celebrare coloro che sono insigniti del premio. Ma l’organizzazione del premio Nobel a questo punto farebbe bene a spiccare un balzo e atterrare nel presente per far brillare la propria luce molto di più, affrancandosi una volta per tutte da una visione da XIX secolo di ciò che rende positiva la scienza.