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 2016  ottobre 11 Martedì calendario

Piano finlandese per mollare l’euro

Si starà meglio quando si starà peggio. Ora che la produzione industriale e la fiducia dei consumatori calano, fra i finlandesi si diffonde la nostalgia del loro caro vecchio marco. E soprattutto traspare l’invidia verso i vicini scandinavi, che essendosi tenute ben strette le corone svedesi, danesi e norvegesi, sembrano destinati a soffrire molto meno. Uscire dall’euro è una tentazione contagiosa. Un numero sempre maggiore di Paesi dell’Eurozona appaiono più propensi a considerare se i sacrifici economici e politici legati all’adesione alla moneta unica si siano rivelati troppo alti. E a trarne le dovute conseguenze, anche nella pratica. 
Occorre valutare costi e benefici, per non immaginarsi un futuro troppo roseo o al contrario lasciare che le ansie prevalgano sulle argomentazioni razionali e scientifiche, ma soprattutto avere chiaro da dove si può iniziare. Di certo è possibile, proprio perché nel trattato di Maastricht manca una clausola di uscita simile all’art. 50 del trattato di Lisbona invocato dal Regno Unito per lasciare l’Unione europea. Nessuna condizione capestro, nessuna tempistica per il divorzio. All’apparenza è utopico, ma in realtà è di gran lunga più facile fuggire dall’Eurotower di Francoforte che dalle tentacolari istituzioni comunitarie di Bruxelles e Strasburgo. LE STRATEGIE D’USCITA 
A chi rimane incerto perché non riesce a vedere la via d’uscita, risponde proprio da Helsinki un manualetto di istruzioni, frutto delle ricerche di otto studiosi locali di economia, consapevoli che un metodo universale certamente non esiste, ma è pur sempre possibile fissare alcune regole generali. Così, How to abandon the common currency in exchange for a new national currency, («Come abbandonare la moneta unica in cambio di una nuova moneta nazionale»), volumetto di trenta pagine in tutto, ma dense ed efficaci, spiega come minimizzare i potenziali effetti negativi dell’abbandono dell’euro. 
Vale la pena che lo legga anche chi non è divorato dalla brama del ritorno alla moneta nazionale, poiché alcune contromisure potrebbero rivelarsi necessarie nell’ipotesi non assurda in cui l’unione monetaria, doganale e commerciale dovesse sfaldarsi. All’esaurirsi di un’unione politica, molto difficilmente sopravvive una divisa comune, avvertono gli autori indicando gli esempi storici della separazione fra Repubblica Ceca e Slovacchia e della caduta dell’Impero austro-ungarico. Nessuna tragedia, a condizione che sia stata già individuata una strategia. 
Le tappe per tornare in possesso della propria sovranità sono piuttosto semplici e in teoria valgono per tutti: poiché gli Stati nazionali mantengono intatta la lex monetae, un governo può decidere in qualsiasi momento di adottare una propria valuta allo scopo di renderla l’unico mezzo di pagamento. 
IL CAMBIO ALLA PARI 
Basterebbe da un lato annunciare che non si accettano più scambi con la moneta unica e che i depositi bancari esistenti saranno convertiti alla parità con la nuova valuta. In sostanza, si decide che un euro vale una lira. Nello stesso tempo, le banconote in euro finiscono fuori corso sul territorio nazionale. Ovviamente, questo processo non evita il pericolo di uno shock sui mercati dovuto a movimenti di capitale particolarmente rapidi e consistenti. Perciò occorre garantire il funzionamento dei sistemi di pagamento durante la transizione ed essere pronti a ripristinare al più presto una banca centrale indipendente.
In più va verificata la possibilità di ritorsioni economiche e politiche da parte dei Paesi rimasti nell’unione monetaria. Prima di decidersi per il grande passo, sarà opportuno aver stretto relazioni commerciali e finanziarie con aree esterne, senza escludere la possibilità di trovare accordi con singoli Paesi ancora inclusi nell’Eurozona. Quanto al debito estero, tutto dipende dalla capacità di rinegoziarlo nella nuova moneta nazionale. 
LE PRIME CONTROMISURE 
Un capitolo a parte riguarda le banche, le società private e le istituzioni pubbliche. L’impatto iniziale si ridurrà nella misura in cui saranno in grado di rimanere solventi e di detenere la quantità di denaro liquido necessaria a far fronte all’eventuale emergenza. I tempi tuttavia potrebbero dilatarsi se, per avere la disponibilità della nuova moneta nazionale, occorresse attendere un via libera del Parlamento. Perciò, meglio disporre fin da subito di un proprio sistema di regolamento lordo in tempo reale, per consentire le transazioni bancarie in formato elettronico. Altrimenti, suggerisce il manuale, ci si può appoggiare temporaneamente a un’altra valuta estera che ne disponga o, in alternativa creare un nuovo sistema che comprenda sia l’euro che la nuova valuta. L’efficienza dei pagamenti dipende largamente da queste variabili. In Irlanda, comunque, riuscirono a superare la crisi del 1970 operando per sei mesi e mezzo senza l’ausilio delle banche commerciali, sopperendo con un’ampia concessione di credito da parte della banca centrale (in grado di stampare moneta) e con la fiducia reciproca fra gli operatori economici. 
GLI EFFETTI POSITIVI 
Quanto allo spaventapasseri rappresentato dalla minaccia dell’inflazione, gli esperti tendono a minimizzare. Semmai sostengono, prendendo a prestito le teorie del premio Nobel per l’economia, lo statunitense Milton Friedman, che il meccanismo di aggiustamento del mercato interno potrebbe essere fornito dai tassi di cambio della valuta straniera, ma che anche la leva fiscale rivestirebbe un ruolo centrale nel raffreddare il costo della vita. Pertanto, arrivano a prevedere che le conseguenze positive di un’eventuale uscita dall’euro potrebbero rivelarsi anche molto maggiori degli svantaggi. 
Con un’avvertenza finale: visto che la rinuncia all’euro si presenta verosimilmente come un percorso a ostacoli, la prudenza consiglia di prepararsi per tempo e con molta discrezione, magari predisponendo gli uffici postali a sostituirsi agli sportelli bancari. In pratica, è come innestare la retromarcia in automobile: è sempre meglio avere installato qualche sensore e magari una telecamera posteriore. E soprattutto essersi esercitati a perfezione nelle manovre. 
Fuor di metafora, la condizione irrinunciabile perché l’evasione dall’euro abbia successo è una politica che sostenga e non deprima l’economia in nome della stabilità valutaria. Cioè che agisca nel modo esattamente contrario alle rigide regole di bilancio imposte dall’adesione alla moneta unica europea.