Il Sole 24 Ore, 11 ottobre 2016
Putin pronto a «tagliare», il petrolio vola
Le quotazioni del petrolio Brent sono volate ai massimi da un anno, sfiorando 54 dollari al barile, dopo che il presidente russo Vladimir Putin ha rilanciato con forza l’ipotesi di una collaborazione tra Mosca e l’Opec per «congelare o addirittura tagliare» la produzione di greggio.
Non sono passati neanche sei mesi dal fallito accordo di Doha e sul mercato del petrolio la situazione sembra essersi capovolta: dal tutti contro tutti a un’armoniosa collaborazione, in cui non solo l’Opec, ma anche alcuni tra i maggiori produttori non Opec, sarebbero pronti a fare sacrifici pur di risollevare il prezzo del barile. Non è davvero così, ovviamente: i dissapori, le rivalità e forse anche gli inganni non si sono dissolti. Ma il quadro presentato agli investitori ieri era quasi perfetto o comunque tale da innescare un’ulteriore ricopertura delle posizioni ribassiste da parte degli hedge funds, che già nella settimana al 4 ottobre – stando ai dati Cftc – si erano dati da fare: la posizione netta lunga (all’acquisto) su Brent e Wti è aumentata dell’equivalente di 142 milioni di barili – un record – tornando a 612 mb, molto vicino ai massimi storici di aprile.L’azione di ieri ha provocato rialzi intorno al 3% per il petrolio, spingendo il Brent fino a 53,73 $ e il Wti a un picco di 51,60 $. Anche le borse hanno partecipato alla corsa. Al traino degli energetici (ma anche dei bancari) a Piazza Affari il Ftse Mib ha guadagnato l’1,38%. Rialzi superiori al punto percentuale anche per Francoforte e Parigi, mentre il listino di Londra è avanzato dello 0,8%, un progresso analogo a quello che registrava a metà seduta New York.
L’apertura di Putin a un taglio della produzione di petrolio è stata senza dubbio l’evento più eclatante della giornata. Ma da registrare c’è anche la programmazione per domani di un nuovo incontro tra i paesi dell’Opec: un vertice in formato mignon rispetto a quello di Algeri, perché al World Energy Congress (Wec) di Istanbul mancano – dettaglio tutt’altro che secondario – i rappresentanti di Iran e Iraq. La rete di appuntamenti è comunque fittissima, con possibili confronti anche con altri produttori esterni all’Opec, oltre alla Russia: il ministro dell’Energia azero, Natig Aliyev, ha dichiarato alla Ria che stanno valutando una collaborazione con l’Opec anche il suo paese, il Brasile, il Kazakhstan, il Messico e l’Oman (la Norvegia, che in passato aveva tagliato la produzione con l’Opec, in compenso si è già tirata indietro).
Rivolgendosi alla platea del Wec, il presidente russo Putin ha messo in guardia dagli effetti del crollo degli investimenti nell’industria petrolifera, che in futuro rischia di provocare carenze di offerta e dunque «imprevedibili balzi» del prezzo del barile. «In questa situazione – ha proseguito – pensiamo che un congelamento o addirittura un taglio di produzione sia probabilmente l’unica decisione giusta per mantenere la stabilità del settore energetico globale».
Il capo del Cremlino non ha specificato quanto Mosca sia disposta a sacrificare, dopo che la sua produzione di greggio è salita in settembre al record post-sovietico di 11,1 milioni di barili al giorno. Ma ha detto che «la Russia è pronta ad unirsi a misure congiunte per limitare la produzione e si appella agli altri esportatori di petrolio perché a loro volta si uniscano».
Il ministro dell’Energia russo, Alexander Novak, aveva affermato poche ore prima che Mosca preferirebbe un congelamento dell’output, anziché una riduzione. E comunque Mosca ha un track record che non le fa certo onore: tre volte in passato, nel 1998, nel 2001 e nel 2008, aveva lasciato intendere (o addirittura promesso) di tagliare con l’Opec, salvo poi accelerare l’export a spese dei concorrenti.
Il segretario generale dell’Opec, Mohammed Barkindo, invita tuttavia a non farsi condizionare: «Non possiamo vivere nel passato, oggi il contesto è completamente diverso. Vedo Istanbul come un’altra opportunità per costruire insieme».
In precedenza anche il ministro saudita dell’Energia Khalid Al Falih aveva soffiato sul fuoco delle aspettative, dicendosi ottimista sull’esito del vertice Opec del 30 novembre – al quale è stato rinviato l’accordo definitivo sui tagli di produzione – e affermando di non ritenere «impensabile» un ritorno del petrolio a 60 dollari entro fine anno. «L’Opec deve stare attenta – ha aggiunto Al Falih – a non ridurre troppo, creando uno shock sul mercato. Saremo molto responsabili».
Lo scorso 28 settembre l’Organizzazione degli esportatori di greggio ha deciso di contenere l’output a 32,5-33 milioni di barili al giorno. Un comitato di alto livello è al lavoro per decidere come ripartire i tagli tra i diversi paesi membri, tenuto conto in particolare delle difficoltà di Libia, Nigeria e Iran. «Una banda di oscillazione permette di avere un limite adattabile», ha spiegato ieri Al Falih.